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Roma / Stefano Cucchi, assolti i poliziotti e condannati i medici

Pronunciata in Corte d’Assise la sentenza di primo grado, grida e lacrime tra il pubblico nell’aula bunker di Rebibbia. La sorella Ilaria: “Hanno calpestato Stefano e la verità”.

05 Giugno 2013 - 18:05

Rabbia e pianti nella tribuna del pubblico dell’aula bunker di Rebibbia, dove la Corte d’Assise ha pronunciato la sentenza di primo grado per la morte del giovane deceduto il 21 ottobre del 2009 all’ospedale Pertini di Roma, una settimana dopo essere stato arrestato per il possesso di una piccola quantità di fumo. Condannati (con la condizionale) cinque medici a pene dai 16 ai 24 mesi per omicidio colposo, una a otto mesi per falso in atto pubblico. Assoluzione per gli altri imputati, tre infermieri e tre agenti della Polizia penitenziaria. Trecentomila euro il risarcimento riconosciuto alle parti civili.

“Pene ridicole”, commenta la sorella Ilaria: “Sapevo che nessuna sentenza me lo avrebbe ridato”, ma in questo modo hanno “calpestato Stefano e la verità. Mio fratello è morto di ingiustizia. I medici dovranno fare i conti con la loro coscienza, mio fratello non sarebbe morto senza quel pestaggio”. La madre: “Lo hanno ucciso due volte”.

Così il giornalista Checchino Antonini racconta su Popoff il momento della lettura della sentenza:

Tutti in piedi, entra la corte. Alle 17.33 inizia il rito della lettura della sentenza. Bastano pochi secondi a capire che le pene sono lievi (al massimo due anni per uno dei medici e a scalare fino a 8 mesi per gli altri sanitari) e che i tre agenti penitenziari sono stati assolti in primo grado. Nella tribuna del pubblico in mezzo a uno stuolo di guardie in assetto antisommossa è il momento dello sdegno. Lacrime e rabbia per i genitori di Stefano, per Ilaria e per tutte le madri e sorelle di vittime di malapolizia venute a dare sostegno in questa storia terrificante di carcere, malapolizia, malasanità. La battaglia continuerà in appello e negli spazi pubblici in cui si tenta di ribaltare le logiche sicuritarie e repressive di questo Paese.