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Speciale / Chiedi alla polvere: altri granelli [mappa+foto]

A due mesi dalle dichiarazioni del Comune sulla mappa degli spazi inutilizzati, l’amministrazione non fa altro che ribadire la promessa. L’inchiesta di Zic intanto prosegue, segnalando ulteriori immobili in abbandono. Stasera la presentazione a Vag61.

05 Aprile 2013 - 15:33

Pubblicando alcune settimane fa “Chiedi alla polvere”, l’inchiesta con mappa virtuale sugli spazi sgomberati e poi rimasti abbandonati a Bologna, abbiamo spiegato che lo spunto per dare il via a questo approfondimento arrivava anche da un’affermazione fatta dal Comune di Bologna: in seguito allo sgombero dell’ex conservatorio di Santa Marta e al dibattito sorto in città attorno a quell’esperienza, l’assessore Matteo Lepore aveva assicurato (su richiesta di Sel) che a breve sul sito di Palazzo D’Accursio sarebbe stata pubblicata la mappa di tutti gli immobili vuoti presenti in città, così da favorire un loro riutilizzo. Era il 5 febbraio.

Ieri, esattamente due mesi dopo, spulciando nel mainstream salta fuori la seguente notizia: Sel, questa volta in compagnia (udite udite) del Pdl, che chiede al Comune di pubblicare sul sito dell’amministrazione la lista degli immobili vuoti. Stavolta non c’è Lepore ma l’assessore e vicesindaco Silvia Giannini, che ri-assicura: le informazioni sugli spazi inutilizzati saranno rese più fruibili.

Morale della favola, a 60 giorni di distanza la situazione non si è modificata di un millimetro. Siamo ancora alle richieste seguite da puntuali promesse. Non ci meravigliamo neanche un po’: tutti i dubbi del caso li avevamo esplicitati presentando la nostra inchiesta, ma del resto era fin troppo facile giocare a fare i profeti.

Nel frattempo, mentre a Palazzo D’Accursio prosegue il teatrino, il nostro lavoro di approfondimento va avanti. Pubblichiamo, infatti, un nuovo tassello dell’inchiesta che riporta l’attenzione su ulteriori spazi colpevolmente abbandonati. Un’integrazione che diffondiamo in vista della presentazione della mappa che, stasera a partire dalle 19, si svolgerà a Vag61 in via Paolo Fabbri 110: iniziativa pensata anche per promuovere un ragionamento collettivo sull’autogestione, con l’obiettivo di arricchire il nostro lavoro di inchiesta attraverso le esperienze e le riflessioni delle realtà e dei singoli interessati.

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Chiedi alla polvere: altri granelli

I casotti del Dazio, un tempo posti alle entrate della città, erano non solo i luoghi in cui si pagavano le gabelle, ma anche dove si caricavano e scaricavano le merci. Di conseguenza, era qui che si organizzavano le “balotte dei facchini”, gruppi di lotta e di mutuo soccorso di questa categoria di lavoratori. Quando i dazi furono aboliti, molti di questi spazi rimasero inutilizzati, alcuni vennero abbattuti.

Uno di quelli che rimase fu l’ex Dazio di via Mattei 28, posto all’entrata di Bologna, lungo la strada proveniente da Ravenna, da dove arrivavano le merci scaricate al porto.

Era vuoto e abbandonato quando un gruppo di migranti pakistani senza casa lo occupò alla fine degli anni novanta per trasformarlo nella loro dimora.

Vi rimasero fino al 15 ottobre 2002, quando la Giunta Guazzaloca ordinò lo sgombero.

Negli anni successivi l’assessore al commercio, il finiano Enzo Raisi, predispose un piano di recupero dell’immobile per realizzarvi un market di vicinato. Ma non fece in tempo a portarlo avanti che finì il mandato. Per tutti i cinque anni della Giunta Cofferati l’ex Dazio rimase vuoto. Fu la Giunta Delbono, alla fine del suo brevissimo mandato, nel gennaio 2010, ad assegnarlo temporaneamente al Lazzaretto autogestito. Il centro sociale ci rimase fino al mese di marzo del 2012, prima di vedersi assegnata la tensostruttura di via del Battirame 11 che era stata utilizzata dal Livello 57 fino al giugno 2006, quando l’autorità giudiziaria vi appose i sigilli. Poco dopo, nuovo cambio di programma: il Lazzaretto ottenne l’attuale sede di via Fiorini. La tensostruttura di via del Battirame rimase di nuovo inutilizzata, così come lo è stato, da allora fino ad oggi, l’ex Dazio di via Mattei.

Nel 1978 ogni quartiere di Bologna aveva un centro giovanile, ogni centro giovanile aveva un “maestro” (non esisteva ancora l’educatore), ogni maestro interagiva con una gran massa di giovani. A San Ruffillo il Centro giovanile era collocato dentro la palazzina “tonda” dell’ex Dazio, in via Toscana 180, vicino al ponte sul Savena. I primi “scazzi” tra la gestione comunale e i giovani frequentatori dello spazio avvennero sugli orari di apertura. Il centro giovanile non era solo del Comune, ma anche dei ragazzi che avevano imparato a conoscere gli spigoli del tavolo da ping pong e che avevano scoperto i segreti del basket nel campetto esterno. I ragazzi volevano che il centro rimanesse aperto anche alla sera, che ospitasse musica e corsi per impararla. Volevano stare insieme, fare cultura, fare politica, insomma creare socialità.

Non erano più sufficienti il biliardino e le crescentine, fritte dagli anziani in qualche occasione di festa, volevano decidere anche loro, insieme agli altri, come gestire il Centro giovanile.

Dopo alcune assemblee, si decise per l’occupazione, per dare vita a un centro sociale autogestito. Il primo manifesto si intitolava “Biliardo e Crescentine”. Lo spazio non era molto grande. Il bagno e tre salette al piano sopra e il salone centrale. Sotto, nell’interrato, un salone con ping pong e la sala caldaia caldissima, chiamata la sala Florida. L’adesione massiccia di persone lo trasformò in un centro di cultura attivo sempre giorno e notte. Anche la periferia aveva bisogno di vita notturna. Alcuni degli occupanti facevano parte di un collettivo politico di quartiere, altri occupanti frequentavano il centro per imparare a suonare la chitarra. Tutti erano affascinati dall’autogestione e si sentivano liberi e protagonisti.

Ma la lunga mano del PCI (il partito/stato al governo della città) non poteva tollerare questa esperienza fuori dalle regole e, ben presto, arrivò lo sgombero.

Poi il Dazio divenne sede di un circolo Arci. Nella seconda metà degli anni ’90, il Comune decise che da lì doveva passare la Fondovalle Savena, che in quel posto doveva nascere il raccordo con la via Toscana. Con gli oneri di urbanizzazione del supermercato Coop di via Corelli venne costruita da un’altra parte la sede del circolo Arci e, dal 2000, lo spazio venne chiuso, in attesa di essere abbattuto per il passaggio della strada. Sono passati oltre 12 anni ed è ancora lì vuoto e abbandonato.

Nel novembre 2006, la cooperativa informale di autorecupero “Famiglia Bresci”, composta da precari, studenti, immigrati, disoccupati e nullatenenti, decise di occupare uno stabile in via del Sostegno 84, nel quartiere Navile. Si trattava della casa di manovra del Sostegno, che sorgeva sulle sponde del canale Navile. Sottoposta alla gestione dell’Agenzia del Demanio, era vuota da anni, abbandonata al degrado e all’incuria.

Gli occupanti, forti del credo che “i diritti non vanno elemosinati, ma si prendono quando è in pericolo la dignità del vivere”, si misero al lavoro per mettere lo stabile in sicurezza. Con l’aiuto di architetti, ingegneri, muratori fu risistemato il tetto, seguendo le antiche modalità di costruzione e rispettando le tecniche architettoniche dello stabile. Ma un’ordinanza di sequestro della magistratura volle far finire in modo autoritario l’esperienza di autorecupero. 
L’Agenzia del Demanio di Bologna fu sorda alle proposte di apertura di un tavolo di negoziazione partecipato e condiviso.

Così la mattina del 24 ottobre 2007, con un’azione guidata dalla Polizia municipale, supportata da funzionari del Demanio, dalla Polizia di stato e dalla Digos (in tutto almeno 40 agenti), venne eseguito lo sgombero e la costruzione venne messa sotto sequestro giudiziario. In questo stato si trova ancora oggi, con la struttura dell’immobile sempre più devastata.

Nel marzo 2008 l’associazione “Casalone Rock Club – il Sottotetto”, che si era costituita nel 1993, lasciò la storica sede di viale Zagabria 1, che era stata occupata negli anni ’90 insieme ai ragazzi del Covo, e si trasferì nell’ex vivaio comunale di via Viadagola 16.

Lo spazio era nato a metà degli anni ’80 nel quartiere San Donato come centro di aggregazione giovanile e di promozione musicale. Nel corso degli anni, il Casalone era diventato un punto di riferimento nel panorama musicale bolognese.

Non i tutti i vecchi frequentatori del “Sottottotetto” furono d’accordo con il trasferimento. Un gruppo, qualche mese dopo, decise di rioccupare lo stanzone all’ultimo piano del Casalone di Viale Zagrabria.

L’occupazione non durò molto. Infatti, l’allora presidente di Quartiere, Riccardo Malagoli, oggi assessore alla Casa e ai Lavori pubblici, ordinò lo sgombero dichiarando che lo spazio doveva essere adibito ad asilo. Dal giorno in cui la polizia mise i sigilli il luogo è rimasto vuoto e inutilizzato.