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Se il Comune ripristina l’omaggio
al ”Re buono” e rimuove la storia

Tornano a Palazzo le statue dedicate a Umberto I, che nella comunicazione dell’amministrazione diventa “grande sostenitore di libertà e ideali democratici”: neanche una parola sul fatto che promosse il colonialismo e premiò Bava Beccaris dopo le cannonate sui milanesi che reclamavano pane.

13 Febbraio 2019 - 10:31

Lavori in corso, in questi giorni, a Palazzo D’Accursio. Motivo? Ricollocare sulla facciata dal Comune due statue in bronzo, rappresentanti nientepopodimeno che “L’Amor Patrio e il Valore Militare”. Magari di questi tempi ci sarebbero altri sentimenti da mettere in risalto, ma ancor più interessante è sapere che le due opere “facevano parte- questo il testo ufficiale diffuso dall’amministrazione- del monumento commemorativo al Re Umberto I, inaugurato nel 1909, originariamente collocato sulla facciata di Palazzo D’Accursio in piazza Maggiore per rendere omaggio al ‘Re buono’ Umberto I, considerato uno dei più grandi sostenitori della libertà e degli ideali democratici, che aveva, infatti, visitato la città in occasione della liberazione dagli austriaci e che fu, brutalmente, assassinato a Monza nel 1900”. Il Re buono. Grande sostenitore della libertà e degli ideali democratici. Non è dato sapere che libri di storia si leggano in Comune, ma ad ogni modo la fornitissima biblioteca della Salaborsa è a pochi passi e lì, certamente, ci sarà qualche volume in cui poter leggere senza troppe difficoltà che l’appellativo di “Re buono” era legato solo al fatto che Umberto I partecipò ai soccorsi in occasione di alcune catastrofi e che, tanto per dirna una, fu protagonista delle criminali campagne coloniali dell’Italia in Africa di fine ‘800: però, si sa, il mito degli “Italiani brava gente” è tanto fasullo quanto duro a morire. Ma di certo neanche in patria il re di distinse per spirito progressista. Di “tendenze autoritarie” e di “idee conservatrici- basta leggere la Treccani- Umberto I assistette con preoccupazione alla crescita del movimento operaio e contadino” e “di fronte al pericolo ‘rosso’ il re, ammiratore dell’energico imperatore tedesco Guglielmo II e del militarismo prussiano, appoggiò la politica autoritaria di Crispi e dei governi successivi (Antonio Starabba di Rudinì, Luigi G. Pelloux). Approvò la repressione militare dei Fasci siciliani e dei moti anarchici in Lunigiana operata dall’ultimo governo Crispi (1894). Nel 1899 appoggiò il tentativo del generale Pelloux di rafforzare i poteri del governo e di limitare i diritti dei cittadini con una serie di leggi liberticide”. E ancora, Umberto arrivò a premiare il generale Bava Beccaris con la Croce di grande ufficiale dell’ordine militare di Savoia, altissima onorificenza del regno, per “il servizio reso alle istituzioni e alla civiltà” seminando morti e feriti, a suon di cannonate, tra i cittadini di Milano protagonisti dei moti del 1898 contro l’aumento del prezzo del pane.”Re Mitraglia” è infatti un altro soprannome, decisamente più appropriato, con cui è conosciuto Umberto. Certamente così preferiva chiamarlo l’anarchico Gaetano Bresci che, nel 1900, tolse di mezzo il monarca con tre precisi colpi di pistola.

I cannoni di Bava Beccaris a Milano – 1898

E’ per onorare un personaggio di tal fatta, dunque, che nel 1909 un’opera scultoria comprendente le due statue, realizzate da Giuseppe Romagnoli, fu collocata sulla facciata di Palazzo D’Accursio. E poi? I bronzi furono rimossi nel 1943, ha spiegato il Comune, a seguito di un’ordinanza della Repubblica di Salò indirizzata a tutte “le intestazioni, indicazioni o insegne, comunque riferentesi alla ex casa regnante o ai suoi componenti”. Quello che il Comune non sottolinea, però, è che di quei tempi i Savoia non erano certo povere e innocenti vittime del regime fascista, magari perchè presunti paladini di “libertà e ideali democratici”: se i repubblichini ce l’avevano con Vittorio Emanuele III e famiglia era solo perchè, dopo lunghi anni di alleanza, la monarchia cambiò opportunisticamente casacca quando per Mussolini le cose cominciarono a mettersi male. Fatto sta che le statue finirono prima a Villa delle Rose e in seguito abbandonate in un cortile interno dell’Accademia di belle arti, dove sono rimaste fino a poco tempo fa. Ora, “grazie alla generosità dell’imprenditore Francesco Amante”, così ha scritto il Comune, le due statue sono state restaurate e sono iniziate le operazioni per ricollocarle dov’erano rimaste fino al 1943. Ad Amante il sindaco Virginio Merola ha anche deciso di conferire, per questo, la Turrita d’argento. “La storia ci insegna che la rimozione è un processo che contiene in sé l’anticorpo per contrastarlo. Si possono rimuovere delle opere d’arte per una precisa volontà politica, ma questo non è per sempre. La passione di un cultore dell’arte permetterà che questi due bronzi, tornino ora nel luogo originario. Per me è veramente una notizia da festeggiare”, ha dichiarato Merola. “E’ stato un intervento coraggioso- ha aggiunto l’assessore alla Cultura, Matteo Lepore- sarà interessante sentire cosa ne penserà la città. Noi siamo orgogliosi di questa scelta”. Perchè “pensiamo che la storia vada ricordata- ha detto ancora l’assessore- ancor più in un momento come questo in cui la concezione di ‘amor di patria’ è spesso sconvolto: un senso che per noi resta quello di questo bronzo, nella sua accezione rinascimentale, come valore condiviso da tutti i cittadini”. Ma che c’entra con la storia e le azioni di Umberto I?

Ora, sia chiaro, il punto non sta nell’opportunità di riportare alla luce due opere d’arte altrimenti dimenticate in un parcheggio. Il punto è che un’amministrazione pubblica “orgogliosamente” promuove un’iniziativa del genere parlando del monarca Umberto I come del “Re buono” e perfino come di un campione di libertà e democrazia, rimuovendo completamente un acclarato pezzo di storia, tragico e drammatico, ma evidentemente scomodo. Eh sì, l’annuncio avrebbe avuto ben altro tono se amministratori e comunicatori avessero detto o scritto: “Ricollochiamo sulla facciata di Palazzo D’Accursio le statue commemorative di Umberto I, colonialista e grande ammiratore delle cannonate sulla povera gente”. Nulla di tutto questo è trapelato dal racconto edulcorato con cui Palazzo D’Accursio ha infiocchettato la storia delle due statue. E pensare che in questo stesso periodo, in occasione del Giorno del ricordo, proprio Merola parlando di foibe ha dichiarato nell’aula del Consiglio che “lo studio della storia, in particolare della storia contemporanea, attribuisce alla storia un valore in sé. Non è vero che la storia sia una cosa relativa. Formare una coscienza critica della complessità del nostro passato è molto importante per la nostra formazione come cittadini”. Ma quando fa comodo, questo non vale. E nel caso del “Re buono” è, semplicemente, vergognoso.