Attualità

Roma / In corteo per difendere Afrin [foto+video]

Ieri la protesta contro l’attacco turco, con tanto di armi chimiche, al cantone curdo della Siria del Nord. Pullman fermati al casello, compresi quelli da Bologna, identificati i manifestanti.

18 Febbraio 2018 - 19:57

Non è una data qualsiasi per il popolo curdo, il 17 febbraio. Nel 1999, quel giorno, l’Italia, presidente del consiglio era Massimo D’Alema, costrinse il leader del partito curdo dei lavoratori (Pkk) Abdullah Öcalan a lasciare il paese, a cui aveva chiesto asilo, facendolo finire nelle mani dei servizi segreti turchi in Kenya. Diciannove anni dopo la stessa data è stata scelta per la grande manifestazione che, ieri, si è snodata a Roma tra piazza dell’Esquilino e i Fori imperiali, protestando contro l’attacco delle forze armate di Erdogan ad Afrin, il cantone occidentale della Federazione della Siria del Nord, isolato dal resto dei territori liberati. Le ultime notizie sono terribili: mentre sul terreno l’esercito avanza lentamente contro la strenua resistenza delle unità di protezione del popolo e delle donne (Ypg/Ypj), diverse città del cantone sono state bombardate, ed è stato documentato l’uso di armi chimiche (gas cloro) e bombe al fosforo bianco.

L’immagine di Öcalan, chiuso da quei tempi in isolamento nell’isola prigione di Imrali, era dappertutto, nelle bandiere e negli striscioni del corteo, aperto dallo spezzone della comunità curda e, subito dietro, da quello delle donne curde costruito insieme al movimento Non Una di Meno, ispirate da un appello diffuso nei giorni scorsi dalle donne di Afrin: “Per più di sei anni – si legge – le donne di tutte le parti del Rojava hanno resistito contro gli attacchi dello Stato islamico. Allo stesso tempo, abbiamo svolto un ruolo guida nella costruzione di strutture democratiche di autogestione. Abbiamo costruito strutture autonome basate sull’organizzazione comunale, sulle risorse delle donne, sulle accademie e sulle cooperative, nonché sull’autodifesa delle donne. Attraverso la solidarietà delle donne, che è una delle nostre armi più efficaci, abbiamo sviluppato la nostra forza e coscienza collettiva. Oggi dieci mila donne hanno preso le armi per difendere la loro terra, le loro vite e il loro futuro a Afrin”. Una resistenza che è “parte della resistenza globale delle donne contro ogni forma di oppressione, sfruttamento, femminicidi e fascismo. Mentre le istituzioni internazionali e i governi statali tacciono sugli abusi del diritto internazionale e sui crimini di guerra, crediamo che la solidarietà internazionale delle donne sarà la nostra arma più forte per sconfiggere il fascismo e il patriarcato”.

Durante la manifestazione sono intervenuti attivisti giunti da molte città d’Italia, in molte delle quali nelle scorso settimane ci sono stati presidi e cortei mossi dalla stessa rabbia contro l’attacco turco e dallo stesso sentimento di vicinanza alla rivoluzione della Siria del Nord, rafforzato dai racconti dei volontari tornati dopo aver compattuto a fianco delle Ypg/Ypj. Ormai iniziano a contarsene parecchi. Da Bologna sono arrivati due pullman, fermati (come molti altri) dalla Polizia alle porte della capitale, probabilmente più per fare un po’ di schedature all’indomani dell’imponente mobilitazione antifascista cittadina che dalla reale possibilità che nel corteo fosse potuto accadere qualcosa a loro sgradito.

Scriveva ieri mattina Vag61 su Facebook: “Il nostro autobus organizzato con altre realtà bolognesi (Nodo sociale antifascista, Xm24, Mujeres libres, ndr) per raggiungere la manifestazione nazionale #DefendAfrin a Roma è stato fermato appena superato il casello dell’autostrada. Tutte le e i partecipanti sono state perquisite, identificate e riprese in volto con la videocamera dalla polizia. Il dispositivo di sicurezza, messo in atto contro una mobilitazione che sarà in piazza a dire un chiaro No alla sporca guerra di Erdogan ai danni del popolo curdo, per noi è la dimostrazione della sintonia del governo italiano con le pratiche autoritarie e fasciste proprie del governo turco. Biji Rojava!”.

Così Ya Basta Bologna: “Vergognosa e inutile perquisizione del nostro autobus diretto alla manifestazione contro i bombardamenti turchi ad Afrin. Controlli, richiesta documenti e video riprese del volto di ogni singolo partecipante. Stiamo andando a manifestare contro la Turchia di Erdogan ma i compagni curdi presenti sostengono che cose del genere le hanno viste solo in Turchia. Episodio dopo episodio la Turchia del sultano Erdogan e dei suoi metodi anti democratici ci sembra sempre più vicina: manifestanti schedati a prescindere prima ancora di scendere in piazza, daspo e repressione brutale del dissenso. Denunciamo l’assurdo accanimento delle forze dell’ordine e di questo governo e rivendichiamo la libertà di manifestare senza intimidazioni”. Ancora Ya Basta, sul corteo: “Dopo i controlli ingiustificati della polizia siamo in corteo per le strade di Roma insieme a migliaia di persone ad opporci con i nostri corpi alla repressione e al tentativo di annichilimento verso il popolo curdo. Urliamo uniti a gran voce, qui come in altre centinaia di città in Europa e nel mondo per chiedere la fine dei bombardamenti su Afrin, la liberazione di Ocalan e l’autodeterminazione del popolo curdo come esempio di democrazia contro ogni confine, fascismo e sessismo. Urliamo ancora più forte contro l’assassino Erdogan e i governi complici che lo ricevono nell’omertà sul genocidio che sta compiendo”.

Infine, il Collettivo universitario autonomo: “A Roma marcia in difesa di Afrin, contro l’aggressione terroristica di Erdogan al popolo curdo! Il coraggio delle donne e degli uomini in Rojava un esempio per noi tutti e tutte che dai nostri territori diamo battaglia contro ogni sfruttamento e fascismo, per il diritto di ognuno ad una vita degna e più giusta”.

 

#Defend Afrin!