Attualità

“Quale petrolio?”, viaggio tra effetti e costi delle trivellazioni in Italia [video]

In vista del referendum del 17 aprile sulle nuove concessioni, il documentario prodotto da Smk e distribuito da Ddb mostra i rischi e i costi ambientali delle operazioni di estrazione.

25 Marzo 2016 - 18:22

Quale Petrolio - Locandina

“In Italia sono già attivi 213 permessi di estrazione di petrolio e gas mentre altri 157 sono in fase di approvazione. L’obiettivo annunciato dal governo è quello di raddoppiare la produzione di idrocarburi entro il 2020. Per questa ragione, si approvano progetti di trivellazione tra le falde acquifere, in zone sismiche, perfino in prossimità di vulcani sottomarini attivi, mentre alle compagnie petrolifere è riservato un sistema di tassazione tra i più convenienti al mondo. Ma si tratta di una scelta lungimirante? E quali sono i costi ambientali e sociali che ne derivano?”.

Per rispondere a queste domande, il documentario “Quale Petrolio?” (scritto e diretto dal giornalista e documentarista freelance Andrea Legni) accompagna lo spettatore nei luoghi simbolo della corsa italiana all’oro nero.

Il film, prodotto da Smk Videofactory e distribuito da Distribuzioni dal basso è stato pensato come strumento di informazione in favore della campagna referendaria del 17 aprile. Per questa ragione è rilasciato con licenza Creative Commons, per  permettere a tutti gli spazi interessati di poterlo proiettare ed utilizzare in serate informative senza dover chiedere autorizzazioni e senza dover pagare alcun diritto d’autore. Inoltre la distribuzione del documentario è realizzata attraverso il meccanismo della donazione volontaria, senza alcun prezzo di copertina imposto.

> Guarda il trailer:

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Basilicata – Val d’Agri
In Basilicata si estrae l’80% del greggio italiano, tra attività di ricerca e estrazione già in vigore e richieste in attesa di approvazione ministeriale oltre la metà del territorio è interessato dagli appetiti dei petrolieri. È inoltre presente il più grande centro di raffinazione d’Europa (Centro Oli di Viggiano), del quale è previsto un ulteriore ampliamento. Questo focus serve per dare conto delle conseguenze già documentate sul territorio. In cambio di qualche milione di euro di royalty sono scientificamente riscontrati: inquinamento delle acque del bacino del Pertusillo (bacino idrico potabile che rifornisce anche l’acquedotto pugliese), inquinamento di terreni dediti a pascolo e agricoltura, emissioni pericolose nei pressi del centro oli di Viggiano, testimoniateci anche (a telecamera nascosta) da un operaio del Centro Oli e un aumento consistente dei casi di cancro e malattie cardiocircolatorie tra gli abitanti dell’area. La Basilicata, spesso definita dalla narrazione dominante come “il Texas d’Italia” o “la Basilicata Saudita”, in realtà rimane tra le regioni più povere d’Italia, con le sue attività tradizionali (agricoltura e allevamento) minacciate e in parte già compromesse dalle attività petrolifere.

Taranto – Puglia
Il petrolio lucano, dal centro Oli di Viggiano, viaggia attraverso un oleodotto verso le raffinerie e il porto di Taranto, pronto per essere lavorato e trasportato via mare. Questo è l’espediente narrativo che ci porta a Taranto, luogo simbolo della strategia energetica e industriale italiana. In una città colpita da decenni di industrie pesanti, le quali hanno ipotecato la salute e lo sviluppo della città, si progettano due nuovi progetti di grande impatto: la costruzione di un nuovo oleodotto (Tempa Rossa) e la ricerca di petrolio al largo del golfo di Taranto. Questa ricerca (prevista con la discussa tecnica dell’airgun) minaccia l’habitat naturale del golfo, tra i più preziosi del mediterraneo. Minaccia inoltre, ancora una volta, una nuova idea di sviluppo della città, basata sulla pesca e sul turismo sostenibili.

Sciacca – Sicilia
Le domande di ricerca e coltivazione di idrocarburi presentate dalle compagnie petrolifere devono essere complete di “studi di impatto ambientale” che deve ricevere il Via (valutazione di impatto ambientale) dai Ministeri competenti. Ma gli studi presentati sono attendibili? E soprattutto, gli organi ministeriali li valutano con la dovuta perizia? Per parlarne siamo andati a Sciacca, in Sicilia, dove attivisti e esperti locali ci hanno raccontato come la gran parte dei report presentati dalle compagnie presentino lacune anche grossolane (progetti copiati di sana pianta, tratti di mare in cui viene sbagliata la zona Fao di riferimento, sottostima sistematica degli habitat e delle attività economiche sulle quali le trivelle potrebbero avere effetti negativi etc). Fino alla grottesca situazione verificatasi al largo di Sciacca, dove un progetto di ricerca che nel suo studio di impatto ambientale trascurava completamente l’esistenza di un vulcano sottomarino attivo a pochi km di distanza e la presenza di enormi sacche di gas (la cui trivellazione fortuita provocò ad esempio il disastro del golfo del Messico nel 2010) ha ricevuto valutazione ministeriale favorevole: esempio lampante di come il nostro paese continui a sottovalutare gli impatti della produzione fossile sul territorio.