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Protesta al supermercato Alì: “Basta persecuzioni antisindacali”

Ieri l’iniziativa da parte dell’Adl Cobas. Testimonianza sul lavoro in edilizia, diffusa dal Coordinamento Migranti: “Per tutto il tempo il padrone mi ha trattato malissimo e mi ha rubato soldi”. Maschere bianche a processo, il Padrone di merda: “Rispondiamo alle menzogne”. Sgb: “In Lepida ottenuta un’indennità Covid per tutti i lavoratori”.

28 Novembre 2020 - 13:16

“Stop alla persecuzione antisindacale nei magazzini Alì! Ritiro immediato di tutte i procedimenti , le sanzioni e le sospensioni disciplinari! Pieno riconoscimento dei diritti sindacali per l’Adl Cobas!”. Con queste rivendicazioni il sindacato di base ha manifestato ieri, anche a Bologna, davanti a un negozio della catena di supermercati invitando i clienti a boicottarla. L’iniziativa si è svolta nell’ambito di una giornata di mobilitazione in solidarietà dei lavoratori Adl di Padova: “Da quando Alì spa ha deciso di internalizzare i lavoratori del magazzino di via Olanda a Padova in pieno lockdown- racconta il sindacato- sono subito cominciate ad arrivare le prime minacce da parte dei vari capi-reparto e dei responsabili che avvertivano i lavoratori iscritti ad Adl Cobas che, ora che erano diventati dipendenti diretti, o rinunciavano al sindacato oppure ne avrebbero pagate le conseguenze. Dopo che abbiamo denunciato questi odiosi comportamenti ai vertici aziendali e soprattutto dopo aver visto che i dipendenti non si lasciavano intimidire così facilmente, l’azienda ha deciso di passare dalle parole ai fatti: ha iniziato dapprima con cambi di mansione improvvisi e immotivati e trasferte nell’altro magazzino senza alcuna reale esigenza e nonostante la pandemia da Covid-19 (periodo nel quale sono sconsigliate per evitare possibili contagi), al solo scopo di mettere in campo una vera guerra psicologica e rompere il gruppo, per poi arrivare a lettere di contestazione con accuse fasulle e infondate e successivamente arrivare ad applicare sanzioni disciplinari, cercando di colpire coloro che si sono più esposti per sostenere le istanze dei colleghi”. Nel frattempo “Alì sta cercando di espandersi anche nei territori dell’Emilia-Romagna: per questo è indispensabile essere anche qui al fianco di questi lavoratori – oggi (ieri, ndr) ancora in sciopero – che nel corso degli ultimi anni si sono organizzati con Adl Cobas per lottare contro lo sfruttamento e l’illegalità nei magazzini e ora, dopo essere stati assunti finalmente alle dirette dipendenze dell’azienda, vengono perseguitati e minacciati quotidianamente all’interno di una vera e propria campagna antisindacale. Durante l’iniziativa abbiamo registrato la solidarietà di diversi clienti che, appreso quanto sta succedendo, hanno rinunciato a fare la spesa presso il punto vendita e se ne sono andati via dichiarando la solidarietà con i facchini in lotta”, scrive Adl.

“Ho lavorato per un anno a Bologna per un’azienda edile con un contratto di apprendistato. Per tutto il tempo che ho lavorato lì il padrone mi ha trattato malissimo e mi ha rubato soldi. Avevo un contratto di 40 ore a settimana, ma ne facevo anche cinquanta o sessanta. Ho lavorato 10 o anche 12 ore consecutive ma solo due volte sono riuscito a mettere in tasca più di 1.000 euro in un mese. Comincia così l’intervista a F. realizzata e diffusa dal Coordinamento Migranti, che così inquadra la testimonianza: “I lockdown sono capaci di bloccare molte cose ma tra queste non c’è il lavoro migrante. Mentre nella seconda ondata della pandemia il lavoro di donne e uomini migranti nei campi, nei lavori di cura e nei magazzini della logistica mostra di essere sempre più essenziale per tutta la società, il loro sfruttamento è sempre più brutale. Ogni giorno ai migranti si chiede un sacrificio che nessuno riconosce, né tantomeno risarcisce. Non soltanto perché le loro vite sono sospese da permessi di soggiorno bloccati ormai da mesi nelle questure, ma anche perché i lockdown mettono in quarantena le relazioni sociali e la possibilità di manifestare, mentre liberano come mai prima di oggi un virus d’impresa che per riprodursi va alla ricerca di una forza lavoro che sia sempre più disponibile, anche a rimanere in silenzio dinanzi a turni massacranti, straordinari non pagati, salari rubati. In questa intervista F. parte con il raccontare il caso speciale dell’edilizia, un settore che non solo non si è mai fermato, ma da mesi sta usufruendo di notevoli incentivi fiscali per ristrutturazioni che vengono fatte rubando sistematicamente il salario dei migranti, con tentativi di ricatto e vere e proprie truffe. Queste pratiche sono all’ordine del giorno e quando i migranti come F. alzano la voce si trovano di fronte all’impotenza del sindacato che si limita ad agire come arbitrato di conciliazione, capace di recuperare solo una minima parte del maltolto dai padroni. F. racconta poi la sua esperienza nei magazzini della logistica che tra lockdown e Black Friday stanno facendo affari d’oro, assicurando alle grandi aziende della distribuzione la totale precarietà di lavori che solo i migranti, in costante attesa di un permesso di soggiorno, possono accettare. Nell’intervista F. denuncia pubblicamente quella che è una condizione politica di sfruttamento che sostiene i profitti ai tempi della pandemia. Dice chiaramente che non è sufficiente far vedere quello che viene nascosto, ma che bisogna aprire processi di comunicazione e organizzazione tra migranti che lottano quotidianamente contro questa condizione che – come mostra lo sciopero di questi giorni al magazzino della Yoox organizzato dell’Assemblea delle donne del Coordinamento Migranti – per le donne migranti è doppiamente insostenibile”.

In queti giorni si è tenuta l’udienza preliminare del processo a carico di 14 maschere bianche del Padrone di merda (le accuse vanno dalla violenza privata alla tentata estorsione, dalla diffamazione alle lesioni personali) per alcune proteste effettuate nel corso del 2019. “Rispondiamo alle menzogne dei giornali”, scrivono in merito le/gli attiviste/i in un comunicato: “Le maschere bianche dicono la verità e lo dimostrano, non esprimono un’opinione sui datori di lavoro: sono dotati di decreti ingiuntivi esecutivi e attraverso i loro racconti, quelli in cui ogni maschera bianca si rivede, fanno emergere ogni dettaglio di questo ‘sfruttamento'”. E poi: “Nessun lavoratore ha fatto irruzione dentro gli esercizi commerciali in via Goito (come da video pubblicato due giorni fa sulla pagina Facebook), ma, come in ogni protesta, le maschere bianche con megafono, adesivi e maschere, leggono la testimonianza del lavoratore non pagato o malatrattato. Le maschere bianche sono incazzate, ma non sono di certo nervose, perché dicono la verità: ad innervosirsi sono i padroni merda svergognati in pubblico, che malmenano i lavoratori, non viceversa”. Inoltre “non c’è nessun ‘presunto’ arretrato, ci sono parecchi arretrati non pagati accertati da un giudice”, sottolinea il Padrone di merda rendendo pubblico il decreto di ingiunzione del Tribunale.

Infine Sgb segnala che in Lepida è stato “sottoscritto un importante accordo per il riconoscimento di una ‘indennità straordinaria Covid’ per tutti i lavoratori che hanno operato in questo difficile periodo. L’accordo parte dalla richiesta avanzata dalle rappresentanze di redistribuire fra i lavoratori i risparmi sul costo del lavoro che l’azienda stava ottenendo in funzione delle misure organizzative straordinarie poste in essere per il contenimento della diffusione del virus. Le parti hanno quindi convenuto di destinare un fondo, che fa riferimento a parte dei minor costi per il personale sostenuti nel periodo marzo-ottobre 2020, per l’erogazione di una indennità che andasse a coprire il disagio che i lavoratori di Lepida hanno subito nei difficili mesi della ‘prima ondata’. L’indennità che andrà a tutti coloro che hanno prestato servizio nel periodo di riferimento è rapportata ai giorni di effettivo lavoro, ma sarà riconosciuta sia per le giornate di presenza che per quelle in smart working. Nell’accordo si prevede anche la possibilità di convertire l’indennità in welfare o in tempo, con la trasformazione degli elementi monetari in ore di permesso. L’accordo sancisce un importante punto di arrivo perché da una parte va a riconoscere il valore del lavoro che i dipendenti di Lepida hanno svolto in un momento così difficile, e non privo di polemiche per il ‘sistema sanità’ regionale, ma dall’altra sancisce il principio per cui i risparmi sul costo del lavoro possono essere redistribuiti fra i lavoratori. L’accordo di Lepida si inserisce, poi, quale punta avanzata nel dibattito sullo Smart Working, aprendo al principio per cui anche a chi ‘lavora da remoto’ va riconosciuta una indennità a copertura del disagio. Lo smart working emergenziale, infatti, non ha solo una funzione conciliativa e sempre più spesso in questa fase non è una scelta libera del lavoratore che lo subisce in funzione della necessità di garantire i protocolli di sicurezza e il distanziamento in azienda. Anche in una fase di difficoltà come quella che stiamo vivendo, se esiste reale disponibilità delle aziende a non approffitare del momento, si riesce ad aumentare diritti, redistribuire salario; un esempio da riproporre con forza in altri luoghi di lavoro”.