Storia e memoria

Per la storia del PalaDozza Salvini è un estraneo malvoluto e detestato

L’elezione di Berlinguer e la cacciata del manifesto, il ’68, il ’77 e le autoriduzioni, De André, gli Area e Dario Fo, Dalla, Guccini, Miles Davis, i Rolling Stones e Jimi Hendrix: quel che per decenni ha significato il palasport dove parlerà il segretario della Lega.

11 Novembre 2019 - 16:15
Convegno contro la repressione, settembre 1977

Nell’appello alla mobilitazione di giovedì 14 novembre lanciato dalle antifasciste e dagli antifascisti bolognesi con centri sociali, collettivi e realtà di movimento contro la presenza di Matteo Salvini e la strombazzata calata leghista al PalaDozza di Bologna c’è una ragione in più: il palasport di piazza Azzarita, da quando fu inaugurato nel 1956, non ha mai aperto le sue porte a fascisti e a forze politiche che hanno nel loro Dna razzismo, xenofobia, discriminazione, sessismo e omofobia.

Quell’arena non è mai stata usata dall’estrema destra anche perché, per riempirne gli spalti, occorreva mobilitare masse di cui quelle forze, un tempo, non disponevano. Il fatto che oggi Salvini e la sua guardaspalle Lucia Borgonzoni chiedano la “massima partecipazione” dei militanti leghisti, andando a pescare pure in terra lombarda, sentendosi in grado di sostenere una prova di forza sui numeri, auspicando un “palazzetto stracolmo”, sta a dimostrare quanto il clima politico sia cambiato e sicuramente in peggio.

“Non permetteremo che il PalaDozza, luogo delle passioni di questa città diventi lo spazio dove il peggio della destra omotransfobica, neofascista, sovranista, sessista, si ritrovi per avviare la sua campagna di odio e di paura” recita il comunicato di “Bologna non si lega”. Per rafforzare il tam tam della mobilitazione contro i fascio/leghisti, anche il Centro di documentazione dei movimenti “Francesco Lorusso – Carlo Giuliani” ha dato il suo contributo ricostruendo, con una storiografia ragionata, i motivi nobili per cui il PalaDozza, oltre alla destinazione primaria di palasport per il basket, la pallavolo, la ginnastica artistica e il pugilato, sia diventato un luogo simbolo della Bologna operaia e studentesca, antifascista e solidale, nonché un tempio laico della musica e della cultura giovanile.

La storia del palasport di piazza Azzarita è la storia di Bologna, per molti anni considerata la città più rossa d’Italia. Visto dall’alto il palasport sembrava un disco volante, per quei tempi (eravamo nel 1956) fu un’opera molto avveniristica. A volerla con forza fu Giuseppe Dozza, il primo sindaco comunista dopo la Liberazione che rimase in carica dal 1945 al 1966.

Nei primi anni a riempire l’impianto sportivo non ci furono solo i tifosi della pallacanestro o gli amanti del pugilato, ma pure migliaia di militanti politici chiamati dal Pci o dai sindacati per manifestazioni e congressi, oppure quando dall’Unione Sovietica arrivava il Coro dell’Armata Rossa con le voci possenti dei suoi tenori e i salti acrobatici dei suoi ballerini in divisa.

Per quanto riguarda il Pci, di congressi passati alla storia, tenuti sulle gradinate del palazzetto, se ne contano due: il XII°, che si tiene per una settimana nel mese di febbraio del 1969, e sarà il simposio che sceglierà Enrico Berlinguer come successore di Luigi Longo, ma pure quello dove saranno additati gli “eretici” del gruppo del Manifesto che verranno espulsi qualche mese più tardi. E il XIX° che si terrà sempre in piazza Azzarita, dal 7 all’11 marzo del 1990, e che sarà l’ultimo congresso del Partito Comunista Italiano, quello che sancirà il suo scioglimento.

E’ bene ricordare che, solo dopo tre anni dall’inaugurazione, il palazzo ospitò una rassegna di jazz che resterà nella storia e che aprì la strada a tante edizioni di un importante Festival Jazz: Chet Baker, Duke Ellington, Dizzy Gillespie, Charlie Mingus e Mile Davis questi i grandi musicisti che arrivarono.

Per passare a qualcosa di più underground occorre saltare al 5 aprile del 1967, al primo concerto dei Rolling Stones in Italia. Il palazzo è pieno e un gruppo di ragazzi rimasti fuori, per protesta, rompe a sassate alcune vetrine scontrandosi coi carabinieri che presidiano la zona.

L’anno dopo, in pieno maggio 1968 (il 26 per l’esattezza) a far tremare i muri del Palazzetto, oltre alle corde della chitarra di Jimi Hendrix, c’era pure l’aria del movimento del ’68 che si comincia a respirare. Nell’ottobre dello stesso anno a gremire gli spalti dell’arena sono gli studenti medi con una grande assemblea di migliaia di ragazzi che decide di continuare gli scioperi negli Istituti superiori nelle settimane successive.

Il 25 giugno 1969 il palasport si riempie per il “Mistero Buffo” di Dario Fo, con l’attore che tiene la sua giullarata popolare, di ispirazione medievale, stupendo gli spettatori che lo accerchiano con una lingua inventata e onomatopeica.

Nei mesi dell’autunno caldo del ’69 il palazzo apre le sue porte alla “partecipazione operaia”, attivi, assemblee, manifestazioni dalle fabbriche bolognesi.

Nei primi anni Settanta arriva anche la sinistra rivoluzionaria: il 24 e 25 luglio 1971 Lotta Continua organizza un convegno nazionale per lanciare la campagna “Prendiamoci la città”.

Il 2 febbraio 1972 si esibisce per la prima volta a Bologna il gruppo rock dei Jethro Tull. Durante il concerto vi sono tafferugli fuori dal Palazzo tra chi non è riuscito a entrare e la Polizia, che fa anche uso di lacrimogeni e fa sospendere l’evento, dopo che un gran numero di ragazzi ha forzato gli ingressi per entrare senza biglietto. Il vento delle “autoriduzioni” coinvolge anche il mondo del rock e, ogni volta che c’è un concerto, in varie città italiane c’è gente che protesta per la musica gratis. Il 13 febbraio 1973 c’è ancora un concerto dei Jethro Tull, ancora autoriduttori ai cancelli, questa volta gli scontri fuori dal Palazzo dello Sport sono ancora più violenti, con numerosi feriti e arresti.

Forse saranno queste le ragioni per le quali il 14 marzo 1975 il questore vietò la struttura di Piazza Azzarita per lo spettacolo di Dario Fo che aveva un titolo troppo esplicito: “Non si paga non si paga”.

La lotta politica non è comunque mai uscita dalle gradinate del palazzetto: infatti una delle manifestazioni più partecipate è il grande concerto per il Cile che si tiene alcune settimane dopo il colpo di Stato dell’11 settembre 1973, con l’uccisione di Allende e l’instaurarsi della sanguinaria dittatura del generale fascista Pinochet.

Scoppia la rivolta delle giornate del marzo ’77, dopo l’assassinio di Francesco Lorusso l’11 marzo. La “musica ribelle” entra al Palazzo il 22 marzo 1977 con il concerto degli Area, di Eugenio Finardi e di Alberto Camerini.

In aprile si tiene una grande assemblea nazionale del movimento.

Dal 23 al 25 settembre 1977 il palasport sarà uno degli spazi centrali del “Convegno europeo contro la repressione” organizzato dal movimento. Il 24 settembre, nel corso della grande assemblea che si tiene nell’arena di piazza Azzarita, le componenti più politicizzate hanno un confronto-scontro che finisce a sediate.

Come onda lunga del movimento del ’77, hanno una partecipazione straordinaria e molto politicizzata il concerto degli Stormy Six dell’8 maggio 1978, la doppia esibizione di Fabrizio De André e Pfm il 15 e 16 gennaio 1979, il grande happening dell’underground bolognese il 2 aprile 1979, con una delle prime esibizioni pubbliche degli Skiantos e con un titolo che era un programma: “Bologna la Rock: dalle cantine all’asfalto”. Poi il 12 luglio dello stesso anno arrivò Peter Tosh e il reggae giamaicano cominciò a spopolare.

Il 7 e il 10 ottobre 1982, ci vogliono due date per accogliere le tante persone che vogliono assistere al concerto degli Inti-Illimani, il gruppo simbolo della resistenza antifascista cilena.

Il 23 gennaio 1985, a un mese di distanza dall’attentato al treno Rapido 904 che provocò 16 morti e di 266 feriti, si tiene una grande assemblea studentesca contro le stragi (che da Piazza Fontana a quel momento avevano insanguinato il paese, provocando 140 morti).

Nel 1996, come è giusto che sia, il palasport viene intitolato a Giuseppe Dozza, l’ uomo che si inventò il Palazzo con la testa rivolta alla lotta politica e il cuore allo sport.

Questa che abbiamo fatto scorrere è solo una carrellata parziale delle tante iniziative e dei tanti personaggi che hanno riempito i sei decenni di vita del PalaDozza. Quello che è certo che la bella cupola del palazzetto che, nel corso degli anni, si è abituata bene con le voci di Jimi Hendrix, dei Rolling Stones; di Duke Ellington e Ray Charles; dei Platters, di Paul Anka e B.B. King, dei maggiori interpreti della canzone d’autore italiana (da Guccini a Dalla, da De Gregori a De André a Pino Daniele), sarà parecchio infastidita dal gracchiare scomposto del borazzo del Papeete.

Così come Giuseppe Dozza si agiterà nella sua tomba della Certosa, venendo a sapere che nel palazzo intestato col suo nome terrà un comizio quel leghista del Salvini, il massimo interprete delle attuali forme del fascismo nostrano. Lui, Giuseppe Dozza, che dopo la Liberazione si era dato più di una mossa per fare in modo che tutte le strade della nostra città che legavano la propria intitolazione al ventennio mussoliniano prendessero il nome di partigiane partigiani caduti per la libertà.

E’ per tutte queste ragioni che facciamo nostro l’appello ad essere nelle strade e nelle piazze giovedì 14 novembre insieme a tutti coloro che quotidianamente ripudiano in modo radicale ogni forma di razzismo, di sessismo, di paura mossa da odio e di violenza fascista. Perché la Bologna che vogliamo e che si è vista per tanti anni tra le mura del palasport è quella che non vuole lasciare nessuno spazio all’odio di chi predica muri, violenza, razzismo e discriminazione.