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Opinioni / Di cibo, nuovi confini e de-personalizzazione della città

Eat the rich: “Gentrificazione, sfratti, sgomberi. La chiamano riqualificazione”. Un’architetta scrive all’assessore Orioli, sua ex docente: “La invito a conoscere Xm24, luogo ricchissimo di incontri, scambi, partecipazione”. Dal centro sociale di via Fioravanti solidarietà al Lazzaretto.

10 Marzo 2017 - 18:58

“Vi sarà certamente capitato, imboccando senza troppa attenzione l’ennesima rinomata strada del turismo italiano, infarcita di ristoranti l’uno identico all’altro, di soffermarsi per curiosità ad ascoltare quella voce che vi sponsorizza ‘il carciofo più croccante di tutta Roma’ o ‘l’autentico risotto meneghino’. Un attimo di distrazione, un cedimento momentaneo ed eccoci là, seduti al solito tavolo dalla tovaglia a scacchi, forchetta alla mano, con la fastidiosa sensazione di essere stati truffati. Fino a qualche tempo fa la città di Bologna sembrava ancora non essere stata toccata da dinamiche simili, ultima avvisaglia di uno spazio urbano ben rodato al passaggio di frotte di turisti. Eppure i governanti cittadini hanno infine ben deciso di scoprire la vocazione turistica della città, per non essere da meno rispetto alle altre grandi attrazioni della penisola”. Inizia così una riflessione pubblicata da Eat the rich sui cambiamenti della città, la costruzione della City of food e l’attacco agli spazi di autogestione.

Scrive Eat the rich: “Dopo aver tentato la via della città della cultura, con l’ università più antica del mondo, i musei riempiti di murales, e la riscoperta edulcorata dei suoi fasti controculturali, hanno presto capito che per arrivare a quel turista ‘acculturato e consapevole’ (e dal portafoglio ben gonfio, ci sentiamo di aggiungere alle parole del governatore dell’Emilia-Romagna) era più semplice prenderlo per la gola. Anche la capitale della mortadella ha deciso di partecipare all’affannosa gara per salire sul podio di città più cool e accattivante sul mercato. Sul mercato, appunto, nell’eterna lotta del più forte che vince su tutti, ognuno usa i colpi che ha a disposizione. E perché allora non rispolverare quell’immagine di città dalla pancia piena di prelibatezze, di città dedita alla vita godereccia e all’eccellenza? Nella catena di montaggio dello spazio di profittabilità è richiesta una guerra su più fronti: non basta ingolosire lo spettatore, servono gli investitori, ovviamente, e qualcuno che li legittimi. Non basta far colare il cemento delle infrastrutture sui quartieri periferici e lucidare i lastricati del centro storico, creare nuove mirabolanti attrazioni e riempire le strade di osterie. Se la città diviene un prodotto, e di conseguenza va venduta a caro prezzo, serve allora che i consumatori-turisti la desiderino, che possano avere l’occasione di fregiarsi dell’esperienza cittadina nel loro curriculum del ‘viaggiatore’ occidentale. Serve quindi non solo che la scenografia urbana segua il loro gusto, ma che chiunque disturbi la vista di quello spettacolo se ne vada, o si adegui di conseguenza. Chi se ne deve andare lo decidono tra Comune e Questura, da una parte con la gentrificazione dei quartieri e dall’altra con sfratti sgomberi e allontanamenti: loro la chiamano riqualificazione. Chi si adegua, chi si fa cooptare nell’amaro compito di ridisegnare le linee di esclusione della città, contribuisce a isolare chi non è ritenuto idoneo a vivere gli spazi urbani: loro la chiamano partecipazione. Lo si vede chiaramente in due quartieri popolari di Bologna, avamposti e laboratori della città che verrà, in Bolognina così come al Pilastro, le suggestioni si sprecano: distretti del cibo, movida dislocata, residence per cittadini illuminati, innovazione sociale, parchi giochi per turisti, così numerosi come lo sono gli interventi repressivi che si portano appresso. Così la vorrebbero, la Bologna City of Food: giovane e dinamica, piena di tortellini e universitari, tutti smart, belli e cordiali. Una città in cui aggirarsi come tra gli scaffali di un supermercato gourmet. Perché è così che i turisti-consumatori desiderano la città secondo le ultime indagini di mercato, ed è così che i governanti vogliono che sia. Ma il turista-consumatore non deve limitarsi a visitarla, la città che verrà, deve partecipare alla sua narrazione, deve contribuire attivamente a disegnare quella rete di immaginari capace di attrarre e intrappolare i suoi simili. Perché non solo la città, ma anche i suoi abitanti oggi sono in vendita, sono un marchio, un’immagine ben definita e costruita proprio a questo scopo, una sublimazione dei suoi aspetti più autentici, da pubblicizzare per scalare virtuali classifiche mondiali. Deve avere pochi tratti caratteristici, ben definiti e ben visibili, e che siano onnipresenti”.

Continua il contributo di Eat the rich: “La costruzione del brand di una città, però, non è una banale questione di marketing, ma di storytelling: bisogna individuare le figure, i colori, le sensazioni per raccontare la storia di una città. A portare avanti questa narrazione devono essere in primo luogo i suoi abitanti, disponibili a immaginare e costruire visionari capitali umani, beni comuni da privatizzare e valorizzare, sharing economy e social street di cui far discutere. Dietro a tutto questo c’è l’allontanamento dei poveri dai centri storici con la scusa della sicurezza, la cooptazione di esperienze di autogestione, le ipocrite cartoline del buongoverno e della tolleranza, calamite per visitatori ribbelli, la militarizzazione delle strade e il decoro come ideologia. Il potere si appropria, per portare avanti questo progetto, di ogni istanza nata dal basso, capovolgendone il significato a proprio uso e consumo. Il primo grande esperimento che prova a contenere tutto ciò e a costruirlo in solidissimo cemento è la F.abbrica I.taliana CO.ntadina (F.I.CO.), la famigerata ‘Disneyland del cibo’, il parco tematico della produzione e lavorazione alimentare inventato dal patron di Eataly, Oscar Farinetti. La produzione di cibo si fa show, rappresentazione falsata e messa in scena per raccontare al pubblico un mondo contadino e industriale ripulito da ogni contraddizione, da ogni macchia di possibile conflitto sociale. E lo show si fa grande evento, spasmodica attesa per la costruzione dell’ennesima grande opera, fatta di cemento, marginalizzazione e sfruttamento. E naturalmente di grandi profitti, per i soliti palazzinari e per i nuovi protagonisti del capitalismo più smart. Dal Comune di Bologna fanno sapere che l’Expo 2015 milanese è stata un’importante verifica del progetto di narrazione dell’identità di Bologna come brand, e il mostruoso agglomerato di guerrafondai, paladini dell’apartheid, sovrani dello sfruttamento del lavoro e della terra che ha promosso Expo 2015, ha sicuramente ricevuto un grande contributo dai padroni della città felsinea. Se Camst, Coop, Eataly e compagnia bella hanno contribuito materialmente con ingenti investimenti alla costruzione di quel grande evento, Expo 2015 ha invece impartito una ben attesa lezione agli amministratori di Bologna: l’efficacia del cibo come cavallo di Troia, come strumento per strappare nuovi spazi e istituire nuovi confini in città. Per questo ci sembra necessario iniziare a riflettere di come la città stia cambiando, dei responsabili e delle conseguenze possibili di questi cambiamenti”.

Sugli stessi temi, in parte, si concentra anche una lettera pubblica inviata alla nostra redazione dall’architetta Chiara Vullo, ex studentessa di Valentina Orioli, docente dell’Alma Mater e attuale assessore all’Urbanistica del Comune di Bologna. E’ proprio a Orioli che la lettera, scritta in difesa dell’Xm24, è indirizzata. Il testo: “Cara Prof.sa Ass.ra Arch.ta Valentina Orioli, l’occasione che mi porta a scriverle questa lettera pubblica è il desiderio di dialogo, ovvero di confronto bilaterale, tra persone che in questa sede indossano da una parte la veste di cittadino e dall’altra di pianificatore territoriale. Tale desiderio oggi diventa sempre più un’esigenza che assume maggiore peso in un clima di repressione come quello che sta calando su Bologna come una grassa pestilenza. Mi rivolgo a lei in quanto oggi riveste il ruolo di assessora all’urbanistica della Città di Bologna – e per questo le faccio i miei migliori auguri -, ma la missione che in primis le ho visto portare avanti attraverso l’insegnamento, è l’educazione a modelli di vita sostenibili nell’inscindibile tricotomia di sostenibilità sociale, economica e ambientale. Quando l’ho conosciuta ero allieva della Facoltà di Architettura ‘Aldo Rossi’ di Cesena e, animata dalla passione per l’architettura in quanto luogo sociale di aggregazione, ero entusiasta di seguire le sue lezioni di Tecnica Urbanistica. Ricordo quando l’allora assessora all’urbanistica P. G. da noi invitata, ci illustrò il nuovissimo PSC in fase di approvazione e le Sette Città – come dimenticare l’orgoglio con cui spiegava che anche la grafica innovativa delle planimetrie presentate in prospettiva e posizionate ‘in alto a sinistra’ anziché nel consueto ‘in basso a destra’ era indice e metafora di un modus operandi, oggi metafora svelata di una sinistra storica che non esiste più. O ancora, ricordo lo stupore che ci ha regalato facendoci conoscere il quartiere delle Coriandoline di Correggio, esperienza pioniera di progettazione partecipata degli Anni ’90 che ancora oggi non ha eguali nel nostro Paese, dove hanno attivamente contribuito alla progettazione i bambini di ben 12 scuole. A quei tempi mi era stato assegnato come tema di esercitazione, il complesso residenziale di G. V. alla Barca che rappresentò per me l’opportunità di conoscere la Bologna in cui mi ero da pochi anni trasferita, studiare l’espansione moderna della città coi suoi quartieri e scoprire le illuminate pratiche di gestione del territorio che, in un ritmo ascendente dal Secondo Dopoguerra agli Anni ’70, avevano portato all’istituzione dei Centri Civici che rappresentavano la concretizzazione di un’amministrazione illuminata che di fatto si avvicinava ai cittadini e riconosceva pari dignità a coloro i quali erano stati emarginati nei ‘ghetti operai periferici’ con la politica degli sventramenti di inizio Novecento. Quella Bologna era un modello tanto per il territorio regionale quanto per le altre città italiane che venivano trascinate nella morsa del ‘capitalismo metropolitano’; quella Bologna denunciava la ‘crisi dell’ambiente umano’ che ‘deriva da scelte politiche ed economiche che hanno favorito e permesso un dominio di parte sulla città e sul territorio, subordinando all’ambiente il profitto, in un connubio di assenze, di inefficaci resistenze e, a volte, di connivenza aperta e provocatoria con la speculazione’ per citare la pubblicazione ‘Conoscenza e coscienza della città. Una politica per il centro storico di Bologna’ (Bologna, 1974). Quella Bologna rispondeva concretamente all’emergenza casa attuando i PEEP attraverso i quali esprimeva il concetto di ‘diritto alla città'”.

Continua la lettera: “Negli ultimissimi anni a Bologna si sta portando avanti una politica di ‘de-personalizzazione’ della città attraverso la de-localizzazione delle sedi universitarie, lo sgombero delle occupazioni per il diritto alla casa, la de-convenzione delle realtà sociali autogestite e nel nome del Degrado, del Profitto e dello Spirito Santo si sta incidendo una croce che minaccia il carattere autentico della nostra città uterina apprezzato in tutto il mondo. Il motivo per cui ho trovato il tempo di scriverle è dato da una seria preoccupazione per la lettera di sgombero rivolta allo spazio pubblico autogestito Xm24, luogo ricchissimo di incontri, scambi, partecipazione: una seconda casa per molti. Xm24 offre un servizio di quartiere che colma il vuoto lasciato dal welfare dando spazio a numerosi laboratori autogestiti con l’idea di ‘condividere saperi senza fondare poteri’ (Primo Moroni). Xm24 è sede materna del mercato contadino locale di Campi Aperti che attraverso un recente comunicato ha espresso la propria posizione a fianco dello Spazio. Xm24 è una delle realtà più brillanti di Bologna, alimenta il panorama artistico e culturale dando supporto a progetti che si realizzano sia nel territorio comunale che al di fuori di esso. Xm24 è il sole attorno al quale ruotano personaggi straordinari che arricchiscono il quartiere di diversità. Xm24 ha un cuore che pulsa e pulsa sempre più forte con l’approvazione di un numero crescente di sostenitori. Xm24 è un gigante paziente, ma non può più sopportare l’abuso dei falsi servizi di giornalisti che accostano il lato oscuro della Bolognina ad immagini che lo ritraggono. La Città della Ferrovia, ‘la nuova immagine di Bologna’, figura nata in seno alla costruzione della stazione dell’AV e all’indotto che da questa ne deriverebbe, vocata a luogo dinamico aperto alle relazioni internazionali, si riconosce nell’immaginario comune quale luogo di ardente creatività, stravagante intraprendenza, fascinosa stratificazione e, in questa città dentro la città, Xm24 non solo è compatibile, ma è essenziale dov’è e com’è. E’ stata appena smentita la notizia della caserma – era ovvio ;) – ma l’amministrazione bolognese deve riconoscere che non sarà il rifiuto a rinnovare la convenzione a cambiare le sorti di un quartiere, ad allontanare la droga dalla città, a rendere le strade più pulite. Se è questo l’obiettivo al quale mira, dovrebbe riconoscere valore ai collettivi e alle associazioni che operano concretamente nel territorio senza fini di lucro e supportarle. Se un architetto si distingue per la capacità di immaginare, dare forma, rientra nel suo ruolo l’educare al bello, custodire la sedimentata eredità culturale da tramandare, far emergere dal basso criticità e potenzialità, allo scopo di costruire paesaggi di straordinaria bellezza coerenti col personale passato: come il giardiniere di Gilles Clément, è ‘mediatore privilegiato di matrimoni inattesi’, compagno errante delle selvagge e vagabonde. Credo che un progetto di ampia rilevanza che prevede l’alterazione di un grande tessuto urbano, non possa essere studiato con i soli strumenti della tecnica, al di fuori di ogni confronto con chi in quel tessuto vive e si riconosce ogni giorno. Quella Bologna sopracitata oggi rappresenta l’ultimo pallido baluardo nel panorama nazionale, di terreno aperto a pratiche di autogestione e autodeterminazione, minacciato da un’amministrazione che non riflette più sulla città e sui problemi contingenti, quanto piuttosto è portatrice di messaggi e valori – se così si possono definire – estranei all’interesse della comunità, dove la città stessa diventa oggetto di marketing. E’ per questo motivo che la invito a conoscere la vita di Xm24. Sentiti saluti”.

Proprio dall’Xm24, intanto, arriva un attestato di solidarietà al Lazzaretto che nei giorni scorsi si è ritrovato con un furgone danneggiato: “La politica non esiste. L’avevamo scritto in altri momenti, riferito a quegli gomberi e occupazioni militare dei quartieri a cui, con impegno quotidiano e molte pratiche differenti, l’altra città resiste e si oppone. Lo diciamo ancora: di politico certamente non c’è nulla in gesti vili e intimidatori come quello subito dal c.s.o.  Lazzaretto Autogestito e dalle persone che ne vivono gli spazi e ne animano le attività. Le intenzioni intimidatorie, l’arrecare danno a chi si sostiene con l’autofinanziamento e le modalità vigliacche con cui è stato perpetrato il gesto non possono né devono trovare alcuna legittiminatà negli spazi delle lotte. Tutta la nostra solidarietà a chi ogni giorno resiste rivendicando le proprie pratiche e confrontandosi a viso aperto con la già ostile realtà che ci circonda”.