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Opinioni / Dalla Spagna del 1936 a Kobane, oggi

Riceviamo e pubblichiamo un approfondimento che traccia un parallelo tra la resistenza antifranchista e l’esperimento di rivoluzione sociale che nel Rojava si sta opponendo al fascismo dell’Isis.

05 Gennaio 2015 - 16:10

cur1Due continenti diversi, due popoli diversi, le differenze sono molte, ma la rivoluzione sociale è una. Gli ideali di uguaglianza e libertà non hanno confini. A Kobane, nel Rojava sta accadendo qualcosa che, anche se lontanamente, è già successo in Spagna nel 1936. Intendo partire facendo un quadro storico della regione del Kurdistan a livello internazionale, semplice e schematico: quasi 100 anni fa, il Kurdistan è stato trasformato in una colonia internazionale dalle potenze coloniali dell’epoca, Francia e Inghilterra. Fin dall’accordo Sykes-Picot (1916) e poi il Trattato di Losanna (1923), che separava il popolo curdo sotto il dominio di quattro stati (Turchia, Iran, Iraq, Siria), il popolo kurdo è stato in guerra, in una forma o nell’altra. Torniamo all’ attualità, alla fine del settembre scorso i jihadisti dell’ ISIS hanno intrapreso i primi attacchi contro la città di Kobane, città più a nord della Siria. Non era un attacco ad una città qualsiasi, perché la regione del Rojava è una regione ricca di pozzi petroliferi, i quali sono molto interessanti per l’ avanzata strategica dei combattenti islamici. Però al contrario di tutte le altre conquiste dell’ esercito del Califfo del Terrore, questa ancora non è ancora avvenuta.

Entriamo nel merito. Kobane, cittadina curda nella regione del Kurdistan occidentale è il simbolo della resistenza curda all’ avanzata misogina e conservatrice dell’ ISIS. Lo Stato Islamico possiamo dire che sia un prodotto occidentale, delle politiche neoliberiste ed imperialiste, che da 20 anni a questa parte il nostro tanto civile occidente continua ad esportare nell’area del Medio Oriente. Purtroppo in questa regione ormai stremata, dopo venti anni di continui conflitti bellici con obbiettivo il controllo del petrolio nella regione, la denominazione  di un periodo post-bellico, non è mai esistita. La forza islamica estremista non è che il prodotto naturale di queste continue guerre. Dove i musulmani vedevano continuamente un invasore occidentale, che portava con se una lingua, degli usi e dei costumi che erano totalmente incompatibili con quelli già presenti nel territorio, sopprimendo ed opprimendo la loro cultura islamica. Per non parlare di quella democrazia occidentale che i paladini delle libertà d’ oltre oceano dicevano di difendere ad ogni incursione aerea. Questa naturalmente è sempre stata la copertina di facciata di un’ imperialismo e un colonialismo che mirava esclusivamente a quei pozzi di petrolio, dei quali la regione mediorientale è disseminata.  Questo comportamento del civile occidente, ha portato ad una estremizzazione dei valori islamici che sfoceranno in una sorta di “fascismo islamico”, a una conservazione estrema dei valori e della cultura che li erano sempre stati presenti. Il centro di questa lotta contro i combattenti dell’ ISIS si sta svolgendo nel Kurdistan siriano, dove si sta attuando una vera e propria rivoluzione sociale, come quella che si vide in Spagna nel ‘36. Un ruolo fondamentale lo stanno ricoprendo le donne, come fecero le spagnole Mujeres Libres antifranchiste, che hanno lasciato le loro case e preso parte attivamente alla lotta, all’ organizzazione delle città e dell’economia locale. La forza politica presente e vicina a questo governo di ispirazione autonoma è il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) che dal 1997 è stato dichiarato e additato come organizzazione terroristica da NATO, USA e, di conseguenza anche Italia. La Turchia (paese aderente alla NATO) ha impedito ai curdi turchi di uscire dal paese per dar man forte ai compagni nella regine del Kurdistan Occidentale, di conseguenza impedendo anche a molti rifugiati di salvarsi. La chiusura delle frontiere non significa  solo questo, ma anche il blocco di armi e medicinali che non possono superare il confine ed arrivare a quei combattenti e rifugiati nei campi profughi a cui erano destinati.

Questa è un’altra similitudine con quello che avvenne in Spagna, infatti la stessa sordità alle richieste di aiuto si è avuta durante la Guerra Civile, vista l’ immobilità della comunità internazionale anche dopo gli aiuti italiani e tedeschi alla Falange franchista. Al contrario il governo turco sta sovvenzionando indirettamente l’ ISIS. Infatti Erdogan voleva carta bianca dagli USA per annientare Assad una volta per tutte. Questo comportamento da parte dello stato turco naturalmente non è appoggiato da tutta la popolazione del paese, infatti pochi giorni dopo il primo attacco alla città di Kobane, principalmente anarchici turchi sono riusciti a raggiungere la città creando una sorta di Brigata Internazionale, proprio come avvenne nella penisola iberica, in sostegno dei combattenti. Ritornando a parlare di organizzazione generale, le strutture della società che si è andata a formare in questo territorio caldo, sono di stampo laico, di conseguenza abbiamo, come detto prima,  un ruolo delle donne fondamentale. Con la nascita di questo territorio autogestito, naturalmente si è avuta la stesura di un contratto sociale. Questo ne è uno stralcio, una delle parti iniziali, ma che già, ha un grande impatto: «Noi popoli che viviamo nelle Regioni Autonome Democratiche di Afrin, Cizre e Kobane, una confederazione di curdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni, liberamente e solennemente proclamiamo e adottiamo questa Carta». È il primo capoverso della Carta del contratto sociale del Rojava. Che prosegue: «Noi, popoli delle Regioni Autonome, ci uniamo attraverso la Carta in uno spirito di riconciliazione, pluralismo e partecipazione democratica, per garantire a tutti di esercitare la propria libertà di espressione. Costruendo una società libera dall’autoritarismo, dal militarismo, dal centralismo e dall’ intervento delle autorità religiose nella vita pubblica». L’atto costitutivo del Rojava rappresenta un importante avanzamento sociale, poiché delinea una nazione coerente con i diritti sociali e dei principi di un sistema socio-politico funzionale.

I media dipingono il Rojava solo come unica forza di opposizione all’ ISIS, invece di darne luce come esperimento di rivoluzione sociale e democratica, libera dalla dicotomia secolare-religiosa e vicini al discorso di liberazione delle donne nella regione, a lungo imprigionato dentro le prospettive differenti, ossia quelle di un controllo patriarcale come dicono gli usi islamici. Ma se si vuole capire perché il Gran Califfo dell’Orrore vuole distruggere Kobane, bisogna partire da qui. Lasciate perdere lo scontro di civiltà, lasciate perdere la faglia di frattura dell’islamismo, tra sunniti e sciiti. La carta del Rojava è un testo che parla di libertà, giustizia, dignità e democrazia; di uguaglianza, di partecipazione paritaria a ogni istituzione sociale. Parla di autogoverno, tra mille contraddizioni e condizioni durissime, e esprime un principio di cooperazione, tra liberi e uguali. Parla di rifiuto del patriarcato. Parla di rifiuto della teocrazia e di ogni fondamentalismo religioso, e di ogni assolutismo etnico, e dello stesso nazionalismo. E’ la parità di genere che porta avanti questa liberazione generale della società curda. La divisione del lavoro e la partecipazione politica diventano principi centrali da mettere in discussione e ripensare in base egualitaria. La divisione sessuale del lavoro e la partecipazione politica delle donne è garantita da uno stretto sistema di quote. Vengono anche realizzati nuovi modelli formativi come l’ Accademia delle idee femminile che produce una filosofia della liberazione delle donne per sensibilizzare la parità di sesso. L’ organizzazione democratica consiste nell’ uguaglianza sociale,  nella partecipazione attiva ai consigli di quartiere, città, cantone, con piani locali e translocali, da parte di tutti i cittadini.  La società è fondata sull’ associazione dei lavoratori organizzati in consigli. L’economia locale ha l’ obbiettivo di trasformare le strutture di proprietà privata in comuni, risorse naturali comprese. Il Rojava va visto sotto la luce della più complessa riorganizzazione sociopolitica che la sua nascita esprime. Una lotta per gli ideali di libertà e democrazia. Anche David Graeber, antropologo americano, considera, anche se molto più dura e difficile, che quello che sta accadendo a Kobane è molto simile alla guerra civile spagnola che ha visto confrontarsi i lavoratori organizzati nei due sindacati principali presenti nel periodo (CNT di ispirazione libertaria e UGT, socialista) contro la falange Franchista, perché si mescola alle altre lotte per la trasformazione sociale su livelli multipli, vale a dire classe, genere ed  in questo caso di etnie. Questo esperimento di democrazia è nato nel 2011, quando i curdi del Kurdistan Occidentale sono riusciti a scacciare gli agenti di Assad. La regione autonoma del Rojava emerge dalla tragedia della rivoluzione siriana. Al contrario delle situazioni circostanti, la Rojava ha non solo mantenuto la propria indipendenza ma è uno straordinario esperimento democratico. Assemblee popolari sono state istituite come luoghi di decisione, i consigli sono stati selezionati con attenzione  all’equilibrio etnico (ad esempio, in ogni municipalità i tre dirigenti sono un curdo, un arabo, un assiro o un armeno cristiano, e almeno uno dei tre deve essere donna), ci sono consigli delle donne e dei giovani, e una milizia femminile, la “YJA Star”, dove la stella si riferisce all’antica divinità mesopotamica Ishtar. Ishtar era la divinità  dell’amore, della fertilità e della sessualità.

Il PKK, come detto prima, partito illegale, non assomiglia più al partito leninista, perché Ocalan (padre fondatore da anni ormai rinchiuso in un carcere di un isola turca) lo ha condotto a cambiare i suoi scopi e le sue tattiche politiche. Öcalan ha sottolineato l’importanza della protezione della cultura, del credo e dell’identità del popolo curdo contro le politiche di negazione, assimilazione e di annientamento in corso, aggiungendo che ora sono diventate la pietra miliare della prossima vittoria della libertà. Infatti questo partito non vuole creare uno stato curdo, ma si ispira al municipalismo libertario, vale a dire alla formazione di libere comunità autogovernate in democrazia diretta. Proprio come accadde in Spagna con la nascita delle comuni agricole in tutto il territorio, soprattutto nel sud dove la gestione delle terre era ancora attuata con metodi feudali, e nel nord dove le fabbriche si autogestirono senza fermare la continua produzione, fino a quella dei servizi. Lo stesso PKK, vuole essere ispirazione per un movimento globale verso una radicale e genuina democrazia partecipativa, verso un’economia cooperativa e ad una graduale dissoluzione dello stato democratico burocratico, proprio come in Spagna si provo ad attuare nella sua ormai lontana ma sempre viva guerra civile. La svolta anti-statalista e anti-nazionalista del Pkk passa verso  qualcosa che richiama esplicitamente lo zapatismo del Chiapas. Anch’esso di ispirazione libertaria. Naturalmente questi sono solo esempi di confederalismo libertario che però possono dare un’ idea generale che comunque, questa strada può essere possibile anche in tempi di pace. Concludo esprimendo una grande solidarietà ai combattenti curdi, e soprattutto sperando in un supporto internazionalista, non solo a suon di bombardamenti dei droni americani, che anch’ essi possono poco, visti i luoghi dove sti stanno svolgendo i combattimenti a Kobane, ma soprattutto in un aiuto mutuo da terra, con l’ arrivo di combattenti, armi e medicinali per poter bloccare l’ avanzata di un nemico figlio dell’ avidità dello stesso occidente.

LB