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Medioriente / La Turchia (con gli Usa) dichiara guerra al Pkk

Si intensifica la campagna contro il movimento kurdo al confine e la repressione all’interno. Washington sosterrà la creazione di una zona cuscinetto in Siria, la Nato dà la sua benedizione.

29 Luglio 2015 - 10:54

di Chiara Cruciati da Nena News

"Zona cuscinetto" in RojavaLa guerra è aperta. La discesa in campo degli Stati Uniti al fianco della Turchia, con la decisione di appoggiare la creazione di una zona cuscinetto, una “safe-zone” come viene chiamata da Ankara, mette il sigillo alla dichiarazione di guerra turca al Kurdistan, più che all’Isis.

La “safe zone” sarà lunga 90 km e avrà ben più di un compito: impedire il passaggio dei miliziani, ma soprattutto addestrare i ribelli siriani anti-Assad e fare da nuovo rifugio per le centinaia di migliaia di profughi kurdi e arabi siriani entrati in Turchia a causa dell’avanzata dell’Isis.

Perché il presidente Erdogan con la sua “zona sicura” non è alla ricerca di sicurezza dalle incursioni dello Stato Islamico, continue durante l’ultimo anno, ma dall’attività politica di Rojava e del Pkk, ideologo del confederalismo democratico di Kobane. Una sorta di benedizione arriverebbe anche da Washington: il portavoce del Dipartimento di Stato, John Kirby, ha parlato ieri dei maggiori sforzi della coalizione al confine, ma ha negato che gli Stati Uniti abbiano sanzionato o rimproverato la Turchia per i raid contro i combattenti kurdi. Ha anche negato, però, che gli Usa prenderanno parte all’eventuale imposizione di una no-fly zone sul cielo siriano.

Plauso giunge anche dalla Nato, seppure i 28 membri riunitisi ieri a Bruxelles, abbiano negato un loro intervento e chiesto ad Ankara (questo a porte chiuse, riporta una fonte anonima) di proseguire con il processo di pace con il movimento kurdo. In ogni caso il sostegno politico c’è: Erdogan ha il via libera dall’Alleanza Atlantica per liberarsi della minaccia rappresentata dallo Stato Islamico e dai ribelli kurdi.

Da quasi una settimana i jet turchi bombardano il nord dell’Iraq come bombardano le postazioni Isis nel nord della Turchia. Ieri sono state colpite le aree di Gare e Metina e, di nuovo, Qandil, roccaforte del Pkk in Iraq. Secondo il sito di informazione kurdo Anf, soldati turchi avrebbero aperto il fuoco, ieri, contro civili di Rojava: profughi riparati in Siria, stavano tentando di rientrare a Kobane. Un bambino di sei anni sarebbe rimasto ferito.

La reazione kurda sarebbe arrivata nella provincia di Agri: un’esplosione ha messo fuori uso la conduttura di gas che porta 10 miliardi di litri cubi di gas iraniano in Turchia ogni anno. Secondo il ministero dell’Energia, i responsabili sarebbero i combattenti kurdi. Reazioni del Pkk anche a Mardin, Bitlis e Amed, mentre manifestazioni di piazza venivano organizzare a Nusaibyn e Batman: un giovane è rimasto ucciso dalla polizia turca.

Il quadro si fa ogni giorno più chiaro e i dubbi in merito sono stati ben espressi dal leader del Partito Democratico del Popolo, Hdp, Demirtas: la reale intenzione turca è un’incursione dentro Rojava per impedire al popolo kurdo di controllare in modo contiguo il territorio. “La Turchia non intende colpire l’Isis con la ‘safe zone’. Il governo è estremamente disturbato dal tentativo kurdo di creare uno Stato autonomo in Siria. Non lo permetterà mai e interverrà qualsiasi sia il costo”.

Un’accusa a cui indirettamente risponde proprio il presidente Erdogan che alla stampa ha detto che “è impossibile continuare con il processo di pace con chi minaccia la nostra unità nazionale e la nostra fratellanza”. Non solo: Erdogan ha chiesto al parlamento turco di togliere l’immunità a quei parlamnetari che avrebbero sospetti collegamenti con il Pkk. Ovvero l’Hdp, da anni ponte tra Ocalan e i servizi segreti turchi nel periodo del negoziato. Intanto è salito a 1.050 il numero di arrestati nelle operazioni di polizia dentro la Turchia, sospetti membri di Isis e Pkk, ma anche simpatizzanti di movimenti comunisti e di sinistra turchi e kurdi; 96 i siti oscurati dalla censura di Ankara.

Insomma, tutta colpa del Pkk secondo Ankara, nonostante sia stato proprio Ocalan a promuovere il negoziato e a portarlo avanti con serietà (insieme al cessate il fuoco) mentre l’esercito turco e il governo proseguivano nella militarizzazione del territorio kurdo in Turchia e nella repressione dell’identità kurda. Nena News