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Medici senza frontiere in via Mattei, uno sguardo dentro al Cie

Episodi di tensione e autolesionismo, migranti derisi e niente informazioni, la storia di un pestaggio e quella di un pakistano finito dentro dopo aver perso il lavoro.

02 Febbraio 2010 - 20:55

cie_bolognaAll’interno del Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di via Mattei, a Bologna,  “non mancano episodi di tensione” e “permangono numerosi episodi di autolesionismo”. Così come “desta perplessità la prassi di ritirare ai trattenuti appena arrivati nel centro orologio e cellulare”. Sono solo alcuni degli aspetti che emergono da un rapporto stilato dall’associazione Medici senza frontiere dopo un esame, effettuato in due visite, della struttura bolognese.

Anche se Msf in via Mattei non rileva solo punti di criticità, quello che emerge è comunque un quadro preoccupante. “I trattenuti lamentano di essere pesantemente dileggiati dalle forze dell’ordine quando utilizzano il campo sportivo”. Poi c’è la scelta, giudicata “inappropriata”, di “demandare ai mediatori culturali l’accoglienza dei nuovi arrivati mirata all’individuazione di casi vulnerabili e a fornire una informazione legale di base”, anche considerando il fatto che “solo saltuariamente i trattenuti ricevono la pubblicazione sui diritti e doveri”. L’assenza di informazioni scritte viene definita “preoccupante”, ancor piu’ alla luce dei “numerosi richiedenti asilo presenti nella struttura il giorno della visita, circa il 70% del totale”. Lo sportello legale del Cie, inoltre, “e’ operativo solo per sei ore a settimana” ed “e’ sottodimensionato per le esigenze di un’utenza costituita da circa 90 persone”.

Uno squarcio su ciò che accade in via Mattei lo fornisce anche il racconto di uno degli operatori di Msf, che ad esempio riporta il racconto  (fattogli da una decina di migranti) di un’aggressione avvenuta alla fine di luglio 2009 “a danno di due cittadini marocchini da parte di circa 10 poliziotti, in seguito ad un alterco tra questi e il personale di sorveglianza”. C”e’ anche la storia di un pakistano di 38 anni, in Italia da 10 anni e finito al Cie dopo aver perso il lavoro per il fallimento dell’azienda che lo aveva assunto. Con sè “conservava gelosamente il contratto da operaio a tempo indeterminato siglato con un’azienda del Nord e i modelli Cud per pagare le tasse degli ultimi sei anni”.