Acabnews Bologna

“L’attacco su Scienze politiche è a tutt* coloro che resistono alla normalizzazione”

Riceviamo e pubblichiamo il documento stilato dall’assemblea di gestione allargata dello spazio Aula C, a cui nei giorni scorsi hanno preso parte diverse realtà e individualità.

25 Novembre 2014 - 11:10

Documento stilato dall’assemblea di gestione allargata dello spazio Aula C – a seguito dell’attacco mediatico e le minacce di sequestro – a cui hanno preso parte diverse realtà e individualità

Scienze Politiche - © Michele LapiniIl mondo della formazione sappiamo com’è, lo viviamo ogni giorno, sia che siamo studenti/studentesse, laureandi/e, ricercatori/ricercatrici oppure dottorandi/e. A tutti i livelli, la formazione è un lungo percorso atto a creare gli/le sfruttati/e del “domani”. L’università pubblica ormai presenta solo questi aspetti: tasse esorbitanti, borse di studio imprendibili, caro mensa, caro libri, caro affitti sono problemi sotto gli occhi di tutti. L’ingerenza dei privati è diventata tale da assoggettare ogni momento della dimensione universitaria alle logiche del mercato del lavoro e agli interessi degli imprenditori (vedi recruiting day). L’Alma Mater negli ultimi anni si è costruita un vero e proprio impero economico, che si basa sulle collaborazioni con le maggiori multinazionali del paese e non: Eni, Finmeccanica, Bayer, Cargill. Per non parlare dei grandi eventi speculativi come Fico e Expo in cui l’università è attivamente coinvolta. Una macchina per fare soldi insomma, una piramide di aziende, banche e baroni, che si avvale pure dell’aiuto dei celerini per difendere gli affari e gli interessi di Dionigi&Co. Il pugno duro del rettorato verso le realtà che si oppongo a queste dinamiche risulta essere un passaggio necessario verso la creazione dell’Università-azienda, anche attraverso il tacito assenso dei suoi tristi frequentatori: individui isolati da imbeccare con le pillole di un sapere in frantumi, capaci di andare a testa bassa, dalla lezione alla mensa e dalla mensa alla biblioteca. Chi si ribella o dissente pubblicamente viene tacciato di essere un violento, di ledere l’immagine dell’istituzione universitaria, come recita l’approvato Codice Etico dell’Università di Bologna, applicato a tutta la comunità universitaria.

In questo quadro gli spazi di lotta all’interno dell’Ateneo vengono criminalizzati, sgomberati, minacciati di sequestro. E’ evidente che vogliono farla finita con il centro universitario e ribelle, per iniziare la storia del centro del lusso e dello shopping, marginalizzando tutt* coloro che danno fastidio. Anche il nostro tempo libero dovrebbe rientrare in questo piano: consumatori figuranti nella vetrina del centro bomboniera. Questo tempo libero deve avere orari ben definiti e incontestabili, quelli delle ordinanze di turno, dev’essere composto e poco chiassoso, per non disturbare i “vicini”, e soprattutto deve essere economicamente funzionale a riempire le tasche della città e dei suoi speculatori.

La nostra risposta a questa morsa repressiva sta nel rivendicare gioiosamente la riappropriazione degli spazi in un’Università che ci appartiene, la creazione di momenti differenti da quelli che ci vorrebbero imporre. L’organizzazione all’interno dell’Ateneo di iniziative aperte a tutte e tutti, la condivisione di saperi dal basso, autogestiti. Rivendichiamo l’utilizzo degli spazi universitari oltre che per costruire collettivamente dissenso, anche per vivere convivialmente tutti assieme momenti ricreativi: di festa, di musica, di divertimento al di fuori delle logiche di mercato.

E’ impossibile non rendersi conto che vi sia stata un’architettura mediatica volta a svuotare di significato queste pratiche, riconducendole indiscriminatamente ad un solo spazio, l’aula C di Scienze Politiche. Tanto inchiostro è stato sprecato per parlare di feste, che le diverse realtà e i diversi collettivi nell’ultimo mese così come da sempre hanno organizzato nella facoltà di Scienze Politiche.

L’attacco contro le feste a Scienze Politiche non riguarda quindi solo uno spazio, ma tutt* coloro che resistono alla normalizzazione dell’esistente.