Attualità

Lampedusa / L’hotspot dei profitti che nega l’accoglienza

Sovraffollamento, assenza di presìdi sanitari e di vestiti per l’inverno e una disparità di trattamento tra la stagione turistica e il resto dell’anno. A provare a bilanciare il quadro, alcune esperienze di solidarietà nate spontaneamente.

02 Dicembre 2016 - 16:59

Lampedusa foto collettivo Akavusa“Da più di un mese a Lampedusa vivono all’interno dell’HotSpot una media di 300 persone. I trasferimenti avvengono con il contagocce e la permanenza che dovrebbe essere brevissima si prolunga per settimane e ad oggi il numero delle presenze all’interno dell’Hotspot é di circa 400 persone. Queste, potrebbero viaggiare in maniera regolare e pagarsi un biglietto aereo o navale ma sono costrette dalle leggi dell’UE sull’immigrazione a passare per i centri per migranti e alla fine ad entrare nel mondo del lavoro come manodopera a basso costo, sfruttata e molto spesso senza documenti. Ovviamente e tristemente se non muoiono in mare, ricordiamo che quest’anno è un anno record per le morti nel mediterraneo.” A riferirlo è il collettivo Askavusa, che opera nell’isola siciliana in sostegno ai migranti e ai rifugiati e che racconta della disparità di trattamento riservata alle persone presenti nell’Hotspot col cambiare della stagione: “Dopo l’estate a Lampedusa le persone che vivono all’interno dell’HotSpot possono uscire per le strade dell’isola usando un buco della recinzione. In estate il buco della recinzione è presidiato dalla polizia così da evitare le uscite. Questo avviene per non intralciare la stagione turistica. Sono molti gli operatori turistici e i turisti che hanno richiesto questo tipo di prassi. Così l’isola si ritrova a fasi alterne a convivere con i disastri delle politiche e dell’economia dell’UE. L’HotSpot si conferma un luogo in cui il principio dominante è il profitto.”

Con l’arrivo del freddo – segnalano gli attivisti presenti sull’isola – manca il vestiario necessario ad affrontare la rigidità delle temperature. Infatti negli ultimi giorni i vestiti vengono distribuiti da volontari della chiesa cittadina, e non dai gestori del campo di accoglienza: “In questi giorni si assiste a lunghe file davanti alla Chiesa per ricevere dei vestiti dai pochi volontari attivi nella parrocchia. I vestiti dovrebbero essere garantiti da chi gestisce l’HotSpot e invece non vengono distribuiti oppure si distribuiscono vestiti che non sono adatti alle condizioni climatiche attuali. Ancora una volta ci si approfitta della buona volontà dei parrocchiani per tamponare le carenze della gestione dell’HotSpot. Ci sono piccole tensioni relative ad esempio a ragazzi africani che utilizzano il campo sportivo e che sono costretti dalla mancanza di servizi igenici ad urinare fuori, questo ovviamente comporta un disagio per chi vive nei pressi del campo sportivo ma va sottolineato come nessuno abbia pensato a mettere dei bagni chimici distribuiti sul territorio. Singolare per un’isola che viene continuamente descritta come modello di accoglienza.”

Tra le difficoltà vissute dai migranti emerge poi la questione di genere, poichè a fronte dell’aumento di donne in gravidanza continua a mancare un presidio sanitario dedicato alla ginecologia: “Singolare è il fatto che negli ultimi mesi sono aumentate le donne incinta ‘migranti’ che vengono portate sull’isola. Singolare perché sull’isola non vi è una ginecologia e una sala parto e perché ci sono carenze nell’ambito sanitario anche in condizioni non di emergenza.”

In conclusione, riferiscono gli attivisti che nonostante alcuni episodi di intolleranza o incomprensione fra i residenti e le persone ospitate si registrano anche alcuni esempi positivi, in grado di fornire accesso alla cultura e alla comunicazione “come quello dell’archivio Storico di Lampedusa di Nino Taranto dove almeno un centinaio di ragazzi africani ogni giorno va per guardare un film, per studiare un po’ d’italiano, per collegarsi ad internet. Un’esperienza nata in maniera spontanea e semplice.” Ma, si chiedono “la radice del problema rimane sempre la stessa, cioè: perché milioni di persone stanno lasciando il proprio paese? E perché non possono viaggiare in maniera regolare?”