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L’Alma Mater nega l’aula per un incontro sul ‘pinkwashing’ israeliano

Era già accaduto recentemente per un altro incontro in cui si parlava di Palestina. Universitari contro l’apartheid israeliana: Unibo vorrebbe un contraddittorio a nome di Israele, “noi rifiutiamo di includere la narrazione dell’oppressore”, confermando l’iniziativa di domani.

19 Febbraio 2019 - 18:30

“A due giorni dalla nostra iniziativa ‘No to Pinkwashing’ prevista per il 20 febbraio e chiamata per parlare in Università di un tema riconosciuto e studiato accademicamente, il prorettore vicario ha ben pensato di contattare personalmente una dei membri di Ucai per negare l’aula benché richiesta con le giuste tempistiche e modalità burocratiche”. A segnalare quanto accaduto ieri è dalla propria pagina Facebook la sigla Universitari contro l’apartheid israeliana, collettivo studentesco che dallo scorso anno accademico si impegna – attraverso iniziative di sensibilizzazione – a denunciare in Ateneo la discriminazione segregativa cui il governo israeliano sottopone la popolazione palestinese, e prendendo pertanto a prestito il termine apartheid dal regime razzista cui fu sottoposta la popolazione nativa del Sudafrica da parte della minoranza di pelle bianca, al potere nel paese africano fino a poco più di vent’anni fa.

Non è una novità per l’Alma Mater, che a novembre scorso ha negato l’uso di un’aula per un’iniziativa analoga, organizzata da Noi Restiamo. “La motivazione addotta – continua il comunicato degli Universitari contro l’apartheid israeliana – è l’assenza di un contraddittorio a nome di Israele, la necessità di Unibo di proteggere la comunità ebraica di Bologna che dovrebbe sentirsi minacciata dalla nostra conferenza e la necessità di disporre in università di particolari misure straordinarie di sicurezza per l’evento. Il prorettore si è dimostrato particolarmente irritato dalla presenza nel nome del nostro coordinamento della parola apartheid in relazione alla questione palestinese. Inoltre ha aggiunto che un’eventuale autorizzazione alla nostra iniziativa avrebbe creato un precedente per permettere a gruppi di estrema destra la possibilità di organizzare eventi a sfondo razzista e xenofobo. È risibile che il prorettore senta l’urgenza di negarci l’aula per proteggere la comunità ebraica cittadina. Noi comprendiamo la differenza fra antisemitismo e antisionismo e ci stupiamo che il prorettore e l’Università di Bologna non riescano o non vogliano riconoscerla”.

Gli universitari sottolineano che “come UCAI abbiamo sempre lavorato per evidenziare gli strumenti della macchina dell’oppressione sionista fra cui i mezzi di propaganda che normalizzano e legittimano Israele, come il Pinkwashing. Il Pinkwashing è una pratica politica messa in atto in primis da Israele per lavarsi la coscienza e cercare di nascondere l’apartheid che pratica sistematicamente contro la Palestina mostrandosi invece campione dei diritti lgbtqia+. Questa pratica è stata mutuata anche dalle grandi aziende che, per nascondere lo sfruttamento dei propri lavoratori, finanziando campagne gay friendly e Pride in giro per il mondo. Il prorettore richiede una controparte, noi rifiutiamo di includere la narrazione dell’oppressore nelle nostre iniziative. Nonostante Unibo cerchi di mantenere la farsa di un’equidistanza e neutralità nel ‘conflitto’ sappiamo bene che l’Almamater ha già preso una posizione e lo dimostra puntualmente negandoci la possibilità di prendere parola in Università: ben due volte sono stati negati gli spazi alle studentesse e agli studenti che volevano parlare di Palestina, in entrambe adducendo motivazioni tutt’altro che irreprensibili”.

Nel mentre “Unibo tesse complici relazioni accademiche con università israeliane: sono stati stipulati e sono tuttora in vigore ben sette accordi con atenei in Israele; come Ucai abbiamo già denunciato le contraddizioni sollevate da tali relazioni e chiamato al boicottaggio accademico. Tra gli accordi citiamo il progetto ‘Castle’ tra Unibo e Israel Aerospace Industries (che sviluppa anche i bulldozer Caterpillar D9 con i quali le Idf distruggono le case dei Palestinesi) finanziato con i fondi europei di Horizon 2020. A riprova della vocazione guerrafondaia di Unibo ricordiamo l’incontro internazionale sul ruolo della Nato tenutosi a Forlì lo scorso ottobre, dove ancora una volta si è rafforzato il binomio Università e guerra. Troviamo gravissimo il parallelismo fra il nostro collettivo – che vuole parlare agli studenti delle condizioni di apartheid che subisce il popolo palestinese – e le organizzazioni di estrema destra. La lotta per l’autodeterminazione e la liberazione dei popoli non può essere tacciata di razzismo, sono le politiche e le pratiche di Israele ad essere profondamente razziste. È inaccettabile che in un luogo di sapere libero come dovrebbe essere l’Università siano censurate esplicitamente le voci del popolo palestinese oppresso dai crimini di Israele. Se Unibo ci nega gli spazi, noi ce li prendiamo! Ci vediamo tutte e tutti domani 20 febbraio alle 17.30 all’ingresso di Via Zamboni 38!”.