Storia e memoria

La Strage di Stato

Ripubblichiamo questo articolo scritto in occasione del trentennale della Strage di Piazza Fontana. L’articolo è stato pubblicato originariamente su ZIC (allora quindicinale cartaceo) nell’ambito della presentazione pubblica del dossier e della ristampa del libro “La Strage di Stato” per Odradek Edizioni nel 1999 all’interno dell’allora occupato ex-cinema Ambasciatori.

10 Dicembre 2009 - 17:07

LA STRAGE DI STATO

Il 12 dicembre 1969, con le bombe a Piazza Fontana, cominciava la “strategia della tensione”

Tra il 1969 e il 1984, in Italia, sono avvenute otto stragi politiche dalle caratteristiche comuni: tutte hanno visto coinvolti personaggi appartenenti alla destra eversiva, in tutte sono emerse protezioni, connivenze, responsabilità di appartenenti agli apparati dello Stato, tutte sono rimaste per molto tempo senza spiegazioni ufficiali, senza colpevoli e senza mandanti. In quindici anni sono state assassinate, oltre seicento sono rimaste ferite in attentati stragisti che, ancora oggi, nella quasi totalità dei casi, sono rimasti impuniti.

Si è fatto di tutto intorno alla strage di piazza Fontana, a Brescia, Bologna, Ustica, compresi i processi. Di tutto non per scoprire la verità, ma per occultarla. La verità storica e politica è rimasta per anni patrimonio dei movimenti, imbrigliata dai silenzi, omissioni, depistaggi, fino all’apposizione del segreto di stato, poi è diventata senso comune di larga parte del paese, senza che a ciò corrispondesse però azione adeguata.

Anzi, ancora oggi è piegata agli interessi di chi la vuole complice nella conservazione dell’esistente.

I giorni nostri sono percorsi da un forte vento di destra, spesso con egemonia culturale e sociale. Ovviamente il riformarsi di un “consenso di massa” alle nuove forme del fascismo richiederebbe un’assai lunga e complessa analisi, ma è utile ricordare una indicazione/profezia di Pier Paolo Pasolini (del settembre ’62):

«Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: ma occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di un società».

Il titolo “Strage di Stato” non a tutti piacque. Anche nella sinistra extraparlamentare nella quale molti degli autori militavano molti pensavano che la strage fosse fascista, forse con qualche copertura o complicità di apparati statali. La storia ha dimostrato che non era così. Anche le successive stragi degli anni ‘70/80 (piazza della Loggia, Italicus, strage alla stazione di Bologna, ecc) hanno confermato, fuor di ogni dubbio, che lo Stato promuoveva o consentiva stragi e delitti eccellenti, spesso gestendoli  in prima persona e comunque coprendoli: ultimi esempi Ustica, Casalecchio di Reno, la morte di Ilaria Alpi, le navi dei profughi speronate e il Cermis: crimini di guerra e di pace, sempre con la stessa logica del puro dominio.

L’inchiesta fu militante/collettiva e così la diffusione del libro. Fu anche una indicazione di metodo che oggi vogliamo/dobbiamo rilanciare. Tanto più che se alla fine degli anni ‘60 e inizio dei ’70 ancora esistevano taluni spazi d’informazione più o meno liberi, oggi si sono ridotti al lumicino. Difficile credere che qualche giornalista “normale” oggi indagherà sui delitti/bugie di Stato (la guerra ’99 della Nato, per dire il fatto più grave) e comunque che queste inchieste avranno un’eco. Non possiamo però tacere che molti/e oggi chiudono le orecchie, preferiscono non sapere. Dobbiamo dunque informarci da soli e contro-informare con le forze che abbiamo, trovando il modo di sturare le orecchie e aprire le menti cloroformizzate.

In copertina a “Strage di Stato” ci sono i gendarmi di Pinocchio o forse i carabinieri di Valpreda; continuità dello Stato forte con i deboli e debole con i forti. Viviamo sempre più all’interno d’una nazione-poliziotto e in una rete di sbirri mondiali: impediscono agli esseri umani di passare le frontiere proprio mentre capitali, armi e veleni non hanno confini; affamano interi continenti e uccidono (o imbavagliano, se si vive nella parte privilegiata del mondo) chi ne spiega le vere ragioni; si lamentano in Italia della sicurezza (imbrogliando sui dati, diffondendo razzismo) mentre ogni giorno 4/5 persone muoiono in Italia nei luoghi della produzione, per colpa provata di un’organizzazione del lavoro criminale; c’è anche chi vorrebbe sempre più portare il poliziotto/prete dentro le nostre camere da letto.
Trent’anni dopo abbiamo la certezza o forse solo la conferma che esiste un filo, un continuum fra lo Stato armato e terrorista e la piccola/spiccia repressione, fra i grandi trafficanti d’armi internazionali (che poi piangono sulle vittime e organizzano le “missioni Arcobaleno”) e il tentativo di controllare e/o ingabbiare le nostre esistenze. Un discorso lungo e complesso che, come altri, qui accenniamo solo. Noi crediamo che questo filo vada spezzato, ovunque sia possibile.
Non abbiamo grandi organizzazioni/energie per farlo, anzi come direbbe Totò, “alla forza pubblica possiamo opporre solo la nostra privata debolezza”.

Però lo faremo e invitiamo a farlo  ogni giorno: ci si chiami “tute bianche” o rete Lilliput, Centri sociali o Greenpeace, lavoratori auto-organizzati o Cantieri Sociali, zapatisti o semtierra di ogni parte del mondo, “Dire mai al Mai” o altro ancora, i nomi contano poco, è come s’agisce quel che fa la differenza.

Se un anello della catena dello Stato poliziotto viene lacerato, più facile sarà che anche altri anelli si spezzino.

E viceversa: ogni volta che chiudiamo gli occhi sui diritti di “un altro/a”, perché non sappiamo identificarci con lui/lei, stiamo saldando una catena che stringe/stringerà il collo di tutti/e. Perché lo Stato globale oggi è una falsa democrazia che in realtà si basa sulla dittatura degli 850 leader che si riuniscono al Forum internazionale di Davos (e possiedono il 95% o giù di lì dei massmedia mondiali, tanto per dare un’idea) e che hanno 50 mila “luogotenenti” per controllare qualche miliardo di consumatori a Nord (se sono buoni, altrimenti diventano criminali) e di schiavi al Sud (che se provano a ribellarsi vengono uccisi con le armi, con gli embarghi o con “le politiche di aggiustamento strutturale” della Banca mondiale). Oggi come ieri, lo ripetiamo: ribellarsi è sempre giusto, possibile, necessario.

Anche questa riedizione è firmata solamente dai nomi di due compagni (Edoardo e Marco) che nel frattempo sono morti; perché materialmente ne scrissero gran parte ma anche per ricordarli. Nel ‘97 è morto anche Edgardo Pellegrini, uno dei tanti/tante che ci diede una mano: per lui – scrive la sua compagna Elettra Deiana – “il metodo che portò alla stesura di Strage di Stato fu sempre un punto di riferimento, una memoria feconda anche per l’oggi”.

Gli altri/le altre coautori non ci tengono a far sfoggio dei loro nomi, anche se sono orgogliosi di aver preso parte a quest’impresa.  La ragione di questo essere “anonimi” ben la spiega Sarina (la poetessa del gruppo): “nel regno dell’avere, al tempo della ufficializzazione del nulla, chi aspira a essere non può che essere clandestino”.

O, se preferite una versione più politica, noi comunque (con il triste privilegio dell’età, in parole povere pur invecchiati e ingrassati) continuiamo a sentirci parte d’un grande movimento, ad aver senso/ragione solo dentro questa mobile, eterogenea folla che combatte “lo Stato presente delle cose”.

Non siamo dunque pentiti di questa contro-inchiesta (anzi ne siamo assai fiere/i), come non siamo pentiti d’aver lottato e di continuare a farlo (ognuno/a a suo modo), dopo 30 anni. Ci sentiamo di sottoscrivere quanto, nel ’95; scrisse un “pazzo” compagno statunitense, Albert Hoffman, in prima fila nel movimento degli anni ‘60/70: “Certo, eravamo giovani. Certo, eravamo arroganti. Eravamo ridicoli, eravamo eccessivi, eravamo  avventati, sciocchi. Ma avevamo ragione. Avevamo ragione noi, anche su questo: la strage è di Stato. E diciamo a voi, gente perbene, che “per quanto vi crediate assolti”, come cantava allora Fabrizio De Andrè, “noi verremo ancora a bussare alle vostre porte”, perché siete sempre  – e per sempre – tutti coinvolti.

Un gruppo dei compagni/compagne che indagarono e scrissero 40 anni fa per smascherare la strage di Stato

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