Acabnews Bologna

Il Cie chiude, ma “da oggi nuova battaglia di civiltà sul Cara”

Finalmente via le sbarre dalla struttura di via Mattei, convertita per ospitare i profughi. Tpo: “Ora declinare ‘accoglienza’ in cittadinanza, diritti, dignità, futuro”.

21 Luglio 2014 - 12:10

Chiusura del CIE di Bologna.
Da oggi comincia una nuova battaglia di civiltà.

Celebriamo le sbarre che cadono ma ci prepariamo a rompere i nuovi confini del parcheggio Cara, dispositivo precario dell’inclusione differenziale, attuata sulle macerie del fallimento della legge assassina Bossi Fini. Prepariamo nuovi piani per nuove evasioni, mentre celebriamo il fallimento politico ed il troppo tardivo ripensamento di chi prima ha aperto i Cie ed ora proibisce la residenza e la cittadinanza sociale a chi fugge dai Cara ed occupa le case.

Esultiamo per la chiusura dell’ex caserma Chiarini come Cie. E’ il risultato di una lotta – determinata e radicale – contro i lager etnici che come movimenti abbiamo cominciato nel 1998, quando la legge Turco-Napolitano li istituì in Italia. Si chiude finalmente una pagina nera di questi territori, fatta di ribellioni soffocate con la violenza e con gli abusi dietro le sbarre di un carcere di massima sicurezza, e anche di denunce e processi ancora in corso contro attivisti/e. Ma la battaglia di civiltà non si conclude, e anzi questa vittoria mostra semmai che il governo repressivo e dissuadente dei movimenti migratori si è spostato su un altro terreno, quello dell’accoglienza, dispositivo attorno al quale oggi si sviluppano inedite forme di selezione, differenziazione e controllo delle vite delle persone, di cui l’accoppiamento umanitario-militare rappresentato da Mare Nostrum fornisce interessanti chiavi di analisi.

La conversione della struttura di via Mattei da luogo di segregazione a luogo di “accoglienza” risponde all’esigenza degli Stati di dover collocare temporaneamente le migliaia di persone che ogni giorno riparano sul suolo nazionale. Per loro la legge Bossi-Fini non ha alcuna funzione, poiché fuggono da conflitti, guerre, persecuzioni, per altro sempre più estese attorno all’Europa, e nonostante tutto vige l’obbligo sancito dalla Convenzione di Ginevra di accoglierli.
Ma dopo il fallimento dell’Emergenza Nord Africa del 2011, e dopo questo primo semestre in cui abbiamo osservato la fuga a pagamento dei rifugiati anche dall’Italia, è tempo di costruire un avanzamento. Le circa 70mila persone arrivate da gennaio chiamano le istituzioni e tutti noi ad una nuova responsabilità, quella di trasformare le politiche dell’emergenza disumanizzanti e assistenziali tipiche del campo-profughi, quali Cara e simili, in una risposta immediata alla domanda di futuro e di democrazia di chi fugge dalla Siria, dalla Somalia, dall’Eritrea, dall’Etiopia. Non servono parcheggi per i profughi, ma progetti di cittadinanza e di inclusione fin dal primo arrivo.

Una città intera si è impegnata per la chiusura definitiva del Cie e di tutti i Cie.

Oggi quella stessa tensione va investita per garantire ai migranti la libertà di scelta, tramite l’apertura di percorsi di arrivo in sicurezza e il diritto di soggiorno nello spazio europeo, ma costruendo al contempo le condizioni affinché chi arriva a Bologna, come in altre città italiane, possa scegliere di restarvi. E come segnale concreto di promozione dei percorsi di accoglienza degna e di inclusione autogestita servirebbe il rifiuto di applicare l’articolo 5 del Piano Casa, contro cui si espresso anche l’UNHCR, e imporre che i nuovi arrivati siano da subito alloggiati in appartamenti e case anziché ex caserme, capannoni, alberghi.

Che inizi subito una nuova e urgente battaglia di civiltà dopo la chiusura del Cie: declinare “accoglienza” in cittadinanza, diritti, dignità, futuro. Contro miseria, sfruttamento, guerra.

Cs Tpo