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Grecia / Il limbo di Idomeni, tra esasperazione e tensione

Ripubblichiamo un reportage di Melting Pot dal confine greco-macedone, dove si ammassano migliaia di migranti in fuga ma possono proseguire il viaggio per l’Europa solo poche decine ogni giorno.

07 Marzo 2016 - 18:44

(da Melting Pot)

Foto da Melting Pot di Yamine Madani - Grecia, Idomeni, 2 marzo 2016Ieri (martedì, Ndr) mattina siamo arrivati al campo di Idomeni mentre un centinaio di persone stavano protestando sui binari.

Il campo è nato spontaneamente quando la Macedonia ha chiuso il confine e i migranti che volevano proseguire la Balkan Route dalla Grecia si sono trovati la strada sbarrata.

Le tende si trovano nella zona circostante i binari del treno che segnano la via verso la Macedonia. Una strada attraversa questi binari e lì stamattina (mercoledì, NdR) alcuni migranti stavano bloccando il passaggio con un sit-in e cori animati. Il motivo della protesta era il respingimento di un consistente numero di siriani per un errore nei documenti rilasciati loro ad Atene. In questi documenti la data di arrivo in Grecia compariva come data di nascita del migrante, generando confusione e alzando la tensione. Tutto è tornato tranquillo non appena si è diffusa la promessa da parte macedone che i documenti sarebbero stati corretti.

Episodi di questo genere sono abbastanza frequenti a Idomeni, dove l’attesa è estenuante e le condizioni di vita disumane. Tira vento e il terreno è umido, ma la maggior parte degli abitanti del campo sono costretti a dormire per terra nelle tende, solo alcuni che si sono sistemati in case abbandonate vicino alla Stazione dei treni sono un po’ più al riparo. I servizi igenici sono appena sufficienti e la fila per mangiare è infinita. Le ore trascorrono interminabili.

Per attraversare il confine i migranti hanno bisogno di un timbro che ottengono dopo un’altra inesauribile e caotica fila. A metà pomeriggio le persone le persone in attesa sono moltissime e si forma un po’ di calca, la polizia cerca di riportare l’ordine ma tratta i migranti come animali, spintoni con gli scudi e urla incomprensibili a molti che parlano solo arabo. Chi è in fila è rassegnato, sa che non può farci niente e che dopo aver ottenuto il timbro lo aspetta l’attesa peggiore, quella per attraversare il cancello tra Grecia e Macedonia.

Il passaggio è esclusivo per i siriani e pochi iracheni, il cancello si apre a singhiozzi e la polizia cerca di tranquillizzare i migranti che aspettano con promesse più o meno credibili.

Ieri sono passate circa 280 persone, poche rispetto a quelle che restano ad aspettare. Accalcati in un tendone davanti al cancello, si spostano solo se devono usare i servizi. La polizia macedone apre e chiude il confine a sua discrezione, certe volte anche alle 3 di notte.

La tensione è alimentata poi anche dalle voci che girano tra i migranti, sembra che le persone delle provenienze non ammesse cerchino di intrufolarsi tra i siriani per attraversare il confine. Questo crea ansie tra i siriani che temono di perdere il loro turno e rimanere ancora intrappolati nel limbo di Idomeni.

Da qui non possono tornare indietro, ma non sanno se e quando, riusciranno ad andare avanti, la maggior parte è inconsapevole di quello che li aspetta, chiedono aggiornamenti sui confini aperti e ipotizzano percorsi alternativi alla Macedonia, per esempio passando dall’Albania.

La chiusura prolungata dei confini non servirà a niente se non a peggiorare ancora la situazione, già ad Atene ci sono state in questi giorni la prime deportazioni di migranti “economici” verso la Turchia, un palliativo che serve a nascondere agli occhi di tutti il lavoro sporco, delegandolo a Paesi terzi. Non solo non rappresentano delle soluzioni reali alla questione migratoria, ma le decisioni europee in merito sono violazioni di qualsiasi diritto umano.
Per questo il 25 marzo torneremo in tanti in Grecia con un viaggio collettivo per portare la nostra solidarietà ai migranti e a denunciare l’ipocrisia di questa Europa fortezza.

Sara e Yamnine, Idomeni, 2 marzo 2016

> Su Idomeni, segnaliamo anche questo articolo di Melting Pot di alcuni giorni fa: “Aspettare