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Furgolandia: la catena della minaccia

La vicenda del Covid-19 alla Bartolini raccontata dall’interno, tramite due interviste. Un driver: “Subito dopo aver fatto i tamponi, gli autisti sono partiti per consegnare. L’Ausl li ha fatti lavorare per tre giorni senza sapere quali fossero i risultati dei test”. Mai come in questo caso coronavirus e supersfruttamento sono due facce della stessa medaglia.

02 Luglio 2020 - 11:43

Nella notte del 29 giugno, nelle piattaforme di Amazon Germania (a Lipsia, Bad Hersfeld, Rheinberg, Werne e Coblenza) è iniziato uno sciopero di 48 ore, indetto dal Vereinte Dienstleistungsgewerkschaft (l’unione dei sindacati tedeschi del settore dei servizi che ha come acronimo Ver.Di), perché la multinazionale di e-commerce “non ha finora mostrato alcuna disponibilità e sta mettendo in pericolo la salute dei suoi dipendenti a vantaggio dei profitti del gruppo”. Sempre secondo Ver.di “almeno 30-40 magazzinieri si sono infettati a Bad Hersfeld; nel caso della diffusione di Covid-19 a Winsen (Luhe), la direzione sta facendo ostruzionismo e si rifiuta di fornire chiarimenti. Questo mette in pericolo la sicurezza e la salute dei colleghi, delle loro famiglie e di coloro che vivono nelle vicinanze”. Sempre sulla questione della sicurezza dei lavoratori, in questi giorni, si registrano pure altre proteste in alcuni impianti Amazon negli Stati Uniti. Gli scioperi sono scattati quando il colosso degli acquisti on-line aveva licenziato Christian Small, un dipendente che aveva spinto i suoi compagni di lavoro a chiedere maggiori protezioni contro il contagio.

Si potrebbe dire che “tutto il mondo è paese”, ma dà ben poco soddisfacimento vedere in altri paesi d’Europa o d’oltre oceano ciò che è capitato alla Bartolini (Brt) di Bologna.

Lo scorso 22 giugno il sindacato Si Cobas ha denunciato casi di positività tra i lavoratori della piattaforma logistica Brt delle Roveri. Questa circostanza è stata confermata dalla dirigenza dell’Ausl di Bologna: dopo aver effettuato controlli, 79 dipendenti sono risultati positivi al tampone, tra cui 77 magazzinieri e due autisti. Gli accertamenti hanno coinvolto anche i loro congiunti e conoscenti e 28 di loro sono stati evidenziati come positivi. Di questi, 95 casi sono asintomatici, 12 mostrano sintomi del Covid-19 e due sono stati ricoverati in ospedale. Ieri il conteggio è arrivato a 113 positivi di cui 87 asintomatici.

Due lavoratori interinali risultati positivi erano stati reclutati nel Cas di via Mattei, giovani profughi per i quali il rinnovo del permesso di soggiorno è legato al lavoro. Così come avviene per tantissimi altri migranti che lavorano nella logistica, regalando a padroni, padroncini e caporali un ulteriore strumento di ricatto.

Per il Si Cobas il magazzino delle Roveri doveva essere chiuso completamente fin dall’affacciarsi del contagio. Ma per Brt e Azienda sanitaria locale solo i dipendenti della cooperativa di facchinaggio andavano messi in quarantena (e solo dopo reiterate proteste). Il lavoro degli autisti che svolgono le consegne, invece, poteva proseguire. Dal giorno che il Si Cobas ha presentato la richiesta dall’Ausl e dalla Prefettura non sono arrivate risposte. Anzi, secondo l’Azienda sanitaria locale il magazzino Brt può restare aperto. Per il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, e il suo assessore alla Sanità, Donini, “è stato fatto un lavoro a tappeto importante su tutte le persone coinvolte, un lavoro all’altezza della sfida che abbiamo davanti, intervenendo subito dove si verifica un focolaio per isolare il prima possibile tutti i positivi”.

Il Si Cobas è di tutt’altro avviso e ha più volte ripetuto: “Se Ausl non ferma la Bartolini, la chiuderemo noi. Brt va chiusa, sanificata e riorganizzata… Siamo stati i primi e gli unici a fermarci, con già due scioperi. E abbiamo pure denunciato che, al cambio turno, 130 lavoratori condividevano gli spogliatoi e, alle 19,30, la mensa. Che i bagni sono in totale 10, e sono stati sempre stati utilizzati anche dagli autisti e dagli oltre 30 lavoratori delle agenzie, che cambiano di giorno in giorno: i due ragazzi reclutati direttamente dal Centro di accoglienza di via Mattei facevano parte di questo gruppo di lavoratori”.

Se tra i lavoratori del magazzino sono molti i sindacalizzati e gli aderenti al Si Cobas, per quanto riguarda i driver, tra appalti e subappalti, tra cooperative e agenzie varie, tra lavoro a termine e a chiamata per periodi brevi, sono loro a subire maggiormente i ricatti e i soprusi. E’ un complicatissimo intreccio di aziende che si serve di “fornitori di prestazioni”, che usa al massimo la flessibilità per liberarsi dalle responsabilità nei confronti dei lavoratori. Molto spesso, operando un semplice cambio di appalto, vengono cancellati i diritti contrattuali acquisiti negli anni.

Abbiamo incontrato uno di questi “uomini al volante”, lavora per Bartolini, attraverso una coop del sub-appalto, con un contratto a scadenza mensile.

«Ma c’è anche chi ha contratti a giornata… quindi, secondo il mio capo, dovrei ritenermi fortunato», ci dice subito, come antipasto della conversazione.

– Il tuo capo lo vedi in faccia, ma se ti chiedessi chi è il tuo padrone, saresti in grado di rispondermi?

«Domanda più difficile non mi potevi fare… La maggior parte dei driver lavora in aziende (cooperative o srl) che hanno sette o otto furgoni. Poi ce ne sono alcune più grosse che hanno più mezzi (si può arrivare fino a cinquanta) e sono collegate tra di loro da una sorta di piramide gerarchica. Alla cima della piramide sta Brt che, a raggiera, tiene insieme tutti questi fornitori di servizi di trasporto attraverso l’obbligo di raggiungere determinati livelli di consegna. Se gli standard richiesti dal vertice non vengono raggiunti ci vuole niente a perdere l’appalto. Tra di noi corrieri parliamo di una vera e propria “catena della minaccia”».

– Trenta o quarant’anni fa era la “catena di montaggio” il simbolo dello sfruttamento che teneva “legati” gli operai al lavoro parcellizzato, ripetitivo e logorante. Oggi, quella che tu chiami “catena della minaccia” è un elemento ancora più opprimente e umiliante. In molti passaggi dell’ultimo film di Ken Loach, “Sorry we missed you” (il titolo è un riferimento al messaggio che viene lasciato in Inghilterra nella buca delle lettere dai corrieri che non trovano nessuno in casa cui consegnare la merce), sono narrate con la violenza di un pugno nello stomaco le cose che mi stai raccontando.

«Il film non l’ho visto, ma ne ho sentito parlare… La “catena della minaccia” è il modo in cui si sono annodati i rapporti tra le aziende del settore della logistica. L’azienda che sta un gradino più sopra, per fatturato o numero di mezzi, minaccia quella più piccolo che sta sotto. Nel caso Brt, dall’alto della cima della piramide, il management del grande corriere espresso fa continue pressioni sui padroncini che lavorano per la casa madre. Alla fine di questo “mondo a scendere” ci sta il povero autista di furgoni, l’ultima ruota del carro, che non sa quasi nulla di chi sta in vetta alla piramide, ma conosce molto bene il “carrarmato” della suola che gli preme sulla testa e lo minaccia al grido di “non pensare, guida”»… C’è una bellissima battuta che ha fatto in questi giorni un ex autista della Brt: “Alla Bartolini quasi tutti i positivi sono asintomatici. Per forza, quella è gente che non ha tempo di avere sintomi”».

– Efficace, direi che essere più sinteticamente incisivi di così sia impossibile… E, dato che siamo entrati in argomento, parlaci di questa epidemia da Covid-19 arrivata come un fulmine a ciel sereno, ma che per l’Ausl è assolutamente gestibile e sotto controllo e che non ha portato a nessun provvedimento di chiusura per l’azienda.

«Inizio con una cosa che mi riguarda… Gli autisti hanno fatto il tampone giovedì mattina, i risultati sarebbero arrivati tra venerdì e sabato. Subito dopo aver fatto i tamponi sono partiti con i mezzi per consegnare. L’Ausl li ha fatti lavorare per tre giorni senza sapere quali fossero i risultati dei test. Sappiamo di sicuro che quattro autisti sono risultati positivi, in quei tre giorni in quanti di noi li possono avere incontrati e con quante persone sono venuti in contatto?… Dieci giorni fa c’è stato lo sciopero del Si Cobas, dopo lo sciopero il magazzino è stato messo in quarantena, anzi si potrebbe dire che sono stati i magazzinieri a mettersi in auto quarantena. Dopo lo sciopero l’azienda ha diviso le sale di ristoro e i bagni, per gli autisti, i magazzinieri e gli amministrativi».

– E per quanto riguarda i dispositivi di protezione, protocolli anti Covid e distanziamenti? Sui giornali sono uscite notizie di lavoratori ammassati e senza mascherine…

«La misurazione della temperatura, il gel per le mani e le mascherine li hanno dati fin da subito… Addirittura, per dare l’idea che prende le cose sul serio, da qualche giorno Brt ha ingaggiato un “suggeritore palestrato”, grosso come un bodyguard: tutto vestito di nero va in giro per il reparto per dire “mettiti la mascherina”, “tieni le distanze di sicurezza”, “lavati spesso le mani”».

– Ma l’idea di chiudere all’azienda non è passata mai per la testa?

«No… del resto, se non è l’Ausl a emettere un’ordinanza di chiusura, non è credibile che un privato lo faccia per conto proprio, di sua volontà… Io mi chiedo perché a Roma, in un ristorante è stato riscontrato il caso di una persona positiva e il locale è stato chiuso dal’Ausl, perché a Bologna fioccano le multe ai locali della movida per gli assembramenti e alla Bartolini, con tutto quello che è successo, l’Azienda sanitaria ha deciso che si può andare avanti. Potevano chiudere almeno per tre giorni, sanificare tutti gli ambienti e ripartire in sicurezza e, invece, è passata la logica del “chiudere mai”. Per esempio, il magazzino sta esplodendo, hanno preso ragazzi giovani di un’altra cooperativa per sostituire i facchini a casa. I nuovi arrivati non hanno esperienza, è un gran casino… Io credo che, a causa di questa decisone, Brt perderà un sacco di soldi e subirà un brutto colpo a livello di immagine… La cosa paradossale è che, anche per tutto questo, a pagarne le conseguenze sono gli autisti, quelli che la gente vede tutti i giorni».

– In che senso pagarne le conseguenze?

Il nostro interlocutore tira fuori il telefonino e ci fa vedere alcune immagini di foto scattate da suoi colleghi, si va dai cartelli di “rifiuto pacchi per corriere Bartolini”, alla scritta “Untore” messa sul parabrezza di un furgone Brt, all’immagine tratta dai social “Bartolini, morte a domicilio”.

«Durante il lockdown, con tutto il paese rimasto chiuso in casa, le vendite delle piattaforme di e-commerce si sono triplicate, nonostante il famoso Dpcm del governo prevedesse la possibilità di acquistare solo materiale sanitario, medicinali e beni di prima necessità. E’ iniziata una rincorsa telematica all’acquisto compulsivo, si ordinava qualsiasi cosa che potesse produrre un po’ di “normalità”. Come driver ci siamo ritrovati ad effettuare un sacco di consegne in più. Si è passati da una media giornaliera di 70 consegne a 120/130. Dovevamo stare a distanza e con le dovute precauzioni, non era più necessaria la firma del destinatario sul palmare. Nei giorni più tosti della pandemia abbiamo continuato a prestare il nostro servizio, abbiamo distribuito mascherine, dispositivi di protezione e camici. Abbiamo macinato chilometri su chilometri senza un bagno per pisciare o per lavarsi le mani, senza un pasto caldo o un caffè. Non so in quanti di voi abbiano mai lavorato in una logistica o nei trasporti, ma devo dire che se non fosse stato per il bel video messo in rete dai Si Cobas, con le tante storie dei lavoratori del settore, in tanti si sarebbero scordati di noi. Soli in mezzo alla strada, abbiamo guidato ma, nella nostra solitudine, abbiamo anche pensato».

– Poi è scoppiato un focolaio di coronavirus in un magazzino di Bologna…

«E la gente, che avrebbe dovuto “diventare più buona”, comincia a trattarti da untore e appestato. I corrieri di Brt oggi sono derisi e offesi. Questi cittadini dalla “bava alla bocca facile” sono inviperiti con noi lavoratori e non con i padroni della Brt. La cosa che ci distrugge moralmente e ci stressa all’inverosimile è l’indifferenza e la cattiveria che incontriamo in giro in questi giorni e ricominciamo ad avere paura… ma più di queste cose che del Covid-19».

Salutato uno degli ultimi della “catena”, abbiamo voluto sentire anche un lavoratore storico della Bartolini, impiegato agli uffici amministrativi del palazzo direzionale Brt al numero 52 di via Mattei. Ci accoglie con un auspicio: «Spero di andare presto in pensione. Ho fatto fare all’Inps una simulazione, mi mancherebbe ancora un anno e mezzo o poco più. Io in questa azienda ci ho creduto. È stata per anni uno dei migliori corrieri italiani, per salari e condizioni di lavoro dei suoi dipendenti e per qualità del servizio di distribuzione. Io mi consideravo un lavoratore fidelizzato, partecipavo a tutte le ricorrenze dell’azienda. La sua storia era in parte anche la mia, la conoscevo quasi a memoria. Nata nel 1928, la Bartolini aveva mosso i primi passi trasportando frutta tra Imola e Bologna. Poi con quattro camion della Fiat aveva cominciato a fare trasporti tra Bologna e la Liguria. Il decollo della società avvenne con la decisione di iniziare i collegamenti con il Sud, quando ancora non esistevano altre società di trasporto specializzate su quel tragitto. Poi, progressivamente la rete si estese fino a coprire tutto il paese».

– Quando cominciò la trasformazione societaria che ha portato agli assetti odierni?

«Nel 1996 cominciarono le concentrazioni societarie, di lì a pochi anni l’avvento delle multinazionali annientò diversi grandi corrieri italiani. La Bartolini invece resistette grazie alla scelta, risultata poi indovinata, di puntare sull’automazione e sulla telematica. La società resse la concorrenza di colossi come Tnt, Dhl e Ups, e riuscì in pochi anni a raddoppiare il fatturato, arrivando ad essere presente sul territorio nazionale con 195 filiali. Nel 2011 la Bartolini SpA, cambiò il logo in Brt, utilizzando le prime tre consonanti del vecchio nominativo. Nel 2016 una quota di minoranza dell’azienda fu acquistata dall’azienda francese Dpd, attiva anch’essa nel trasporto merci. Nell’agosto del 2019 il gruppo francese La Poste aumentò la sua partecipazione della quota societaria passando dal 37,5% al 85%, lasciando il controllo del restante 15% alla famiglia italiana. Geopost, una branca del gruppo La Poste che si occupava di consegne espresse, è diventata una delle forze trainanti dell’attività del gruppo».

– Oltre a diventare un colosso a livello continentale, cosa hanno prodotto questi cambiamenti societari per quanto riguarda le condizioni di lavoro e i diritti dei lavoratori?

«Hanno prodotto gli effetti negativi che rappresentano le caratteristiche di tanti colossi della logistica. Parlano di necessaria flessibilità per resistere alle attuali regole del marcato, ma lo schiavismo, perché di questo si tratta, anche nel terzio millennio, bisogna chiamarlo col suo nome. Io non ce la faccio a rimanere insensibile rispetto a quello che capita nei magazzini, non ce la faccio più a vedere tanti ragazzi mandati allo sbaraglio nelle strade a macinare chilometri, sotto la spinta di ricatti continui… E poi, fatemelo dire, che poi taccio per sempre… Il Covid-19 non guarda in faccia nessuno e può arrivare a colpire tutti, ma non tutti hanno gli stessi mezzi per difendersi… Perché un conto è stato viversi il lockdown nelle fastose ville dei componenti della famiglia Bartolini, appena fuori Bologna, con giardini e parchi in cui poter svernare senza problemi. Un conto è fare il magazziniere alla piattaforma delle Roveri o sferragliare con un furgone rosso per le nostre strade per fare consegne su consegne… e non mi si dica che parlo di niente».

 

(articolo revisionato in data 3/7/20)