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Ex Sani: gli “sgomberi legalitari” come le “bombe intelligenti”

La necessità dello “spazio comune” e il buco nero delle ex aree militari. La magistratura che fa politica e la politica ridotta a “scendiletto” dei potentati economici. I precedenti sgomberi natalizi e il record sancito durante l’amministrazione Merola. Il silenzio delle sardine, dei “coraggiosi” che sostengono Bonaccini e degli “artisti impegnati”.

26 Dicembre 2019 - 12:51

Il 14 e il 15 novembre

Lo scorso 14 novembre piazza Maggiore si è trovata ad essere la “sorgente” di un nuovo fenomeno di massa che ha preso a proprio simbolo un pesce: la sardina. Un movimento che ha un po’ le sembianze di un fiume e che, lungo il suo percorso, ha incontrato diversi affluenti, dando vita a un reticolo politico/idrografico che reclama linguaggi gentili contro il lessico dell’odio utilizzato da Salvini e dai suoi seguaci. Un movimento che ci tiene a esprimersi senza rabbia, che non sembra interessato ai troppi contenuti perché rischierebbero di essere “divisivi” e che fa del “non-conflitto” e dell’inclusione con garbo i suoi sui elementi distintivi, in nome della bontà contro la cattiveria.

Un movimento che ha attecchito e aggregato, quello delle sardine, e che ha avuto il merito di portare in piazza tante persone, che è stato osservato con un’attenzione inusuale dai media mainstream ed è stato pure parecchio lisciato dalle forze politiche del centro-sinistra, Pd in testa.

Nella stessa serata del 14 novembre nelle strade di Bologna, contro Salvini e le sue politiche di discriminazione razziale, hanno manifestato altre migliaia di ragazze e di ragazzi, inondati dagli idranti della polizia perché si sono avvicinati troppo al luogo dove il caporione fascio-leghista teneva la sua parata. Hanno tenuto le posizioni, non si sono fatti intimidire, tanti erano giovanissimi, forse alla prima manifestazione, ma sono stati descritti, con sufficienza, come i “soliti dei centri sociali”, legati a vecchie logiche di contrapposizione antagonistica e di conflitto sociale.

Il giorno dopo, il 15 novembre, molti dei ragazzi “bagnati” hanno iniziato a riempire alcuni spazi dell’ex caserma Sani di via Ferrarese che al mattino erano stati riaperti dagli attivisti e dalle attiviste dell’Xm24 che, nell’ultimo giorno disponibile per trovare un accordo con l’amministrazione comunale dopo lo sgombero del 6 agosto dell’ex mercato di via Fioravanti, hanno deciso di terminare la lunghissima “odissea per lo spazio” in un’area militare abbandonata da decenni, per spalancare le porte a un nuovo luogo di autogestione e di aggregazione, libero, aperto e inclusivo.

In poche settimane dentro il perimetro in cui un tempo era attiva una fabbrica militare si sono ritrovati in tantissimi, hanno riempito gli angusti capannoni di moltissime attività, hanno ridato corpi e menti a una bellissima architettura industriale che mai nessuno aveva così valorizzato.

C’è voluto pochissimo a riconsegnare a Xm la sua storia che le ruspe del Comune avevano voluto interrompere, ma il futuro che questo spazio prefigura va molto oltre la storia dell’Xm, anche se in ciò che si è visto in questo mese di nuova occupazione si ritrovano tante delle parole che costituirono l’intervento di apertura della prima assemblea di via Fioravanti 24, dopo il passaggio da via Ranzani all’ex Mercato nell’autunno del 2002: “Noi questa sera sanciamo la restituzione alla città di un’area sottratta all’uso pubblico e sociale. Ma il nostro essere pubblico e sociale è diverso da quello che esce con il timbro delle istituzioni. È un pubblico non di Stato, che si fonda sull’autogestione dei soggetti che lo creano. Il nostro è un pubblico di strada, che nasce dal basso, dai bisogni. È anche un sociale che trova la sua ragione nel conflitto. La società civile è il luogo dove noi sguazziamo, ma non è la nostra parte. Dentro la società civile noi dobbiamo giocare la nostra parte… Noi, per orientarci, usiamo una bussola che parla di diritti e di umanità, di spazi e di desideri, di conflitti e di progetti”.

Lo spazio comune

Con la liberazione dell’area dell’ex caserma Sani del 15 novembre, però, si è fatto qualcosa di più e di diverso. Si è superata la logica da “riserva indiana” che ha accompagnato molte delle esperienze dei centri sociali autogestiti degli ultimi vent’anni. Gli oltre 10 ettari di superficie tra via Ferrarese e via Stalingrado, di proprietà di Cassa Depositi e Prestiti, sono stati varcati e attraversati da migliaia di persone che hanno potuto constatare la ricchezza di un patrimonio che è di tutti e di tutte, e si è iniziato a discutere collettivamente sui suoi possibili utilizzi.

Si è cominciato a sostenere pubblicamente che la città non può essere usata solo a fini commerciali e/o speculativi, che oltre al concetto di “bene comune” ne va sviluppato un altro altrettanto importante, quello di “spazio comune”. Si è detto forte e chiaro che, da dieci anni a questa parte, all’interno delle istituzioni, nessuno ha previsto un vero riutilizzo sociale delle ex servitù militari, che gli accordi firmati fino ad ora stanno già ipotecando usi che non considerano le emergenze sociali, culturali, aggregative e ambientali del territorio. Non c’è stato da parte dei governi che si sono succeduti e degli enti locali ai vari livelli nessun impegno concreto per una loro riqualificazione e un loro utilizzo pubblico con progetti finalizzati alla ricomposizione sociale, urbanistica ed ambientale dei territori. Di provvedimenti tesi a contrastare l’espansione del cemento in città non se ne sono visti, anzi nei 100 ettari di aree ferroviarie e militari dismesse previsti nel Piano Operativo Comunale (con 490.000 metri quadrati autorizzati di superficie lorda edificabile) si incontrano tanti progetti simili alla fallimentare “Trilogia Navile”, prospiciente all’ex mercato di via Fioravanti, con al centro residenze private, centri direzionali e commerciali, attività di accoglienza turistica e di ristorazione. Di edilizia residenziale sociale si parla solo in percentuali ridicole del 10% del costruito per l’alloggio.

Questi temi, per tanto tempo, sono stati argomenti trattati solo da esperti, l’urbanistica è materia ostica per i più. Perciò la nascita del Laboratorio di urbanistica LaBurba è da salutare con entusiasmo e le sue attività portate avanti nell’area dell’ex Sani dopo l’occupazione saranno utilissime per rafforzare l’esperienza dell’Xm24 e riaffermare la necessità di un radicamento sociale dell'”altra città”.

Prima di questa esperienza poche erano state le iniziative in questo campo.

Una delle prime fu la protesta, promossa da Asia e Usb il 16 novembre del 2010 davanti alla caserma Mameli, per contestare la corsa alla grande asta delle aree militari cittadine, un affare da 65 milioni, per quello che, a giudizio dei manifestanti, era “l’ennesimo furto alla collettività”, motivato dal Comune con “l’esigenza di fare cassa”. In quei giorni si era tenuto alla Pinacoteca un convegno sul Piano di valorizzazione delle aree abbandonate dall’esercito che vide come partecipanti l’Agenzia del Demanio, il Comune di Bologna e la Soprintendenza ai Beni Architettonici. La discussione anticipò di qualche tempo la scadenza dei bandi che avrebbero messo sul mercato otto lotti di varia grandezza e di diversa importanza urbanistica (si trattava di un primo stralcio su diciannove alienazioni complessive). Le aree militari messe in vendita erano quelle già inserite nel Piano Operativo Comunale (Poc), provvedimento che aveva permesso l’avvio dei piani di cessione da parte del Demanio.

La seconda iniziativa fu portata avanti dal movimento “Santa Insolvenza” e si tenne il 29 marzo 2012, davanti al Teatro Arena del Sole, nel giorno in cui veniva presentato il Piano Strategico Metropolitano. Alla discussione sul Piano avrebbero potuto partecipare solo enti, organizzazioni, associazioni e imprese, singoli cittadini avrebbero potuto essere ammessi solo in casi speciali.

Davanti a un contenitore blindato e con ospiti accuratamente selezionati Santa Insolvenza, usando la strada come palcoscenico, dichiarò: “Del Piano Strategico a Bologna si è parlato poco e in modo ‘coperto’. Il risultato è che abita, lavora, studia nel nostro territorio, e soprattutto la parte più creativa e meno omologata della città, è stata tenuta da parte. Si decide del futuro di Bologna per i prossimi 15/20 anni e i soggetti che dovranno ‘subire’ le conseguenze di queste scelte (precari, lavoratori dipendenti, studenti, giovani, fasce deboli della popolazione, migranti, donne) sono tenuti all’oscuro. Nell’epoca dell’omologazione, del pensiero unico e dello strapotere della finanza, come movimento delle e degli insolventi abbiamo qualcosa di conflittuale da dire a questi signori che intendono decidere anche per noi. Vogliamo chiedere cosa vorranno farci nel Piano Strategico delle ex caserme e delle aree militari? Quale sarà la destinazione degli edifici abbandonati? Per l’edilizia sociale e popolare, per alloggi e residenze in affitto a canone equiparato ai redditi, cosa è previsto nel Piano Strategico? E ancora: il nuovo welfare metropolitano di quali strumenti si doterà per dare risposte alle nuove problematiche derivanti dagli effetti della crisi?”.

Domande a cui naturalmente nessuno diede mai risposta. Nel frattempo del Piano Strategico Metropolitano si sono perse tutte le tracce, già in precedenza molto scarse.

Il piano di vendita dell’ex caserma Sani

La smilitarizzazione delle aree, delle fortificazioni e delle strutture militari per usi civili, culturali e sociali è sempre stato uno degli obiettivi del movimento pacifista sin dalle sue origini. Non si può dire però che il decreto legge con cui il Governo il 27 febbraio 2007 stabiliva il passaggio di proprietà dal ministero della Difesa al Demanio di una prima tranche di 201 strutture militari a livello nazionale, e di circa mille entro il 2008, avesse seguito quei presupposti. L’intera partita valeva circa quattro miliardi di euro e poteva essere considerata la più importante operazione immobiliare dal dopoguerra, destinata a ridisegnare città importanti come Roma, Bologna e Genova, con il coinvolgimento diretto degli enti locali.

La legge finanziaria del 2007 sancì definitivamente il passaggio di un numero consistente di immobili della Difesa nel patrimonio immobiliare pubblico attribuendo all’Agenzia del Demanio la loro gestione.

Bologna fu tra le prime città d’Italia ad aver avviato un percorso di “valorizzazione” dell’aree militari. Nel di maggio 2007, con il sindaco Cofferati, venne sottoscritto un Protocollo d’Intesa tra Comune, ministero dell’Economia e delle Finanze e Agenzia del Demanio.

Il 31 marzo 2009 venne sottoscritta tra Comune di Bologna e Agenzia del Demanio una nuova intesa che specificava le modalità per il completamento del Programma Unitario di Valorizzazione (Puv), dove si prevedeva “la riqualificazione e la valorizzazione di 19 immobili presenti in città, di proprietà dello Stato, dismessi dal ministero della Difesa a partire dal 2007”. Tra questi immobili c’era pure l’ex caserma Sani nel quartiere Navile.

Dopo tre anni e mezzo dalla firma dell’accordo per la valorizzazione delle ex aree militari di Bologna, il 15 dicembre 2010 nella sede dell’Agenzia del Demanio, andarono in vendita all’asta le prime tre aree tra cui l’ex caserma Sani. Di un’estensione di circa 11 ettari, la Sani fu messa in vendita per poco meno di 42 milioni di euro. L’area militare contava 26 edifici (tra cui magazzini, palazzine, due silos e un fabbricato destinato a celle frigo), vaste aree verdi con grandi alberi, diversi piazzali e un binario.

Nella scheda dell’Agenzia del Demanio (aggiornata al 30 novembre 2010), su una superficie utile lorda di 39 mila metri quadrati, per l’ex Sani erano previsti diversi usi: attività direzionali, commercio in piccole e medie strutture; alberghi, pensioni, ostelli e studentati; servizi alla popolazione; strutture fino a 400 posti per sport, cultura e spettacoli.

Il 28 dicembre 2013 la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) acquistò 40 immobili, 33 dello Stato e 7 di Enti territoriali. Il valore dell’operazione fu di circa 490 milioni di euro. Si trattò di un’operazione di puro maquillage finanziario che in un sol colpo cercò di risollevare le sorti delle dismissioni operate dal Demanio, crollate dai 137 milioni del 2009 agli 11,9 del 2012.

La Cdp dal 2003 era diventata una vera e propria S.p.a. con un capitale sociale di circa 3,5 miliardi di euro ed un capitale investito di circa 300 miliardi di euro costituito per il 75% da fondi di risparmio postale. La Cdp per un 80% era di proprietà del ministero dell’Economia e delle Finanze e per un 20% di fondazioni bancarie. La Cassa Depositi e Prestiti pertanto si era slegata definitivamente dal territorio e dal ruolo di supporto agli enti locali per diventare, grazie alla liquidità posseduta, un fondo di garanzia per il bilancio e soprattutto strumento di investimento economico-finanziaro dello Stato.

Secondo i dati contenuti in un report pubblicato nel 2014 dal Consiglio Nazionale del Notariato, tra il 2003 e il 2012 le vendite all’asta di immobili messi sul mercato dagli enti pubblici erano letteralmente crollate: se nel 2003 il 60% delle aste pubbliche si era concluso con una vendita, nel 2012 la percentuale era scesa al 17%.

Ecco allora che si assistette a un paradosso: lo Stato comprava dallo Stato, o meglio comprava sottocosto a se stesso, usando anche i soldi dei risparmiatori, quelle proprietà che poi, svalutate sul mercato, avrebbero favorito l’insediamento di privati e la speculazione che ne poteva derivare.

Fu in quel contesto, pochi mesi dopo l’approvazione del decreto “Salva Italia” del Governo Monti che ridisciplinava le procedure per le dismissioni di beni pubblici, che il presidente aggiunto della Corte dei Conti, riferendo in Parlamento, avvertì: “Il rischio è quello di una svendita per un patrimonio che è inestimabile”.

A Bologna furono tre le ex caserme militari (Sani, Mazzoni e Masini) che vennero acquisite alla fine del 2013 dalla Cdp per un valore di 50 milioni di euro. Si trattava della vendita di un patrimonio pubblico andato invenduto per anni che permetteva però l’incasso immediato per le finanze dello Stato e degli Enti locali, secondo le logiche del Pareggio di bilancio e del Patto di stabilità.

Nel 2017 un bando internazionale di progettazione ha selezionato il progettista del piano attuativo dell’area. Negli oltre 10 ettari di superficie di proprietà di Cassa Depositi e Prestiti, il nuovo aggiornamento di destinazione d’uso prevede la realizzazione di nuove abitazioni, uffici, esercizi commerciali, un nuovo parco urbano e una scuola.

Il 17 luglio 2019 il sindaco di Bologna, Virginio Merola, partecipa insieme a un gruppo di costruttori all’occupazione simbolica temporanea (una sorta di taz istitituzional/padronale) della caserma Staveco, “per protestare contro il degrado cui sono abbandonate molte ex aree miliari dismesse”. Merola, che nel parcheggio della Staveco indossa la fascia “Degrado in corso” preparata dall’Ance (l’associazione nazionale dei costruttori edili), se la prende con le Agenzie statali, il Demanio, la Cassa Depositi e Prestiti e Invimit, proprietarie dei terreni. “Il mio errore é stato fidarmi delle tre agenzie nazionali che devono valorizzare gli immobili per ridurre il deficit e il grande debito del nostro Paese. I Comuni la loro parte l’hanno fatta. Bologna è 10 anni che aspetta che le agenzie nazionali impegnate nella valorizzazione immobiliare concludano qualcosa”.

In quell’occasione il sindaco si improvvisa anche come “mediatore immobiliare”, proponendo che l’ex caserma Masini, sgomberata da Làbas il 9 agosto 2017 e ancora vuota, non trovando nessun acquirente per la realizzazione di un grande albergo, divenga la sede del Liceo internazionale di Confindustria Emilia.

Ritornando all’ex Sani, nell’ultima assemblea tenuta al nuovo Xm, il laboratorio di Urbanistica LaBurba ha sostenuto che, da qui a un anno, l’intera area sarà a disposizione del mercato. Frazionata in lotti sarà preda degli speculatori che arricchiranno la Cassa Depositi e Prestiti (a cui andranno l’85% del ricavato della vendita), con le poche briciole del 15% che toccheranno al Comune.

La nuova occupazione del 15 novembre, promossa dagli attivisti di Xm24 e che si allargata a tante altre soggettività, ha posto con forza l’obiettivo di interrompere la spirale di messa a valore dell’ex Sani, la lotta è per restituirla alla città, recuperando spazi verdi e agricoli, spazi culturali e sociali, ma si parla anche di progetti abitativi attraverso l’autorecupero e l’autocostruzione, contribuendo a contrastare l’espansione del cemento e della speculazione in città.

Il nulla del potere

Era abbastanza prevedibile che la Cassa Deposito e Prestiti, proprietaria della ex caserma Sani, facesse denuncia per l’occupazione dell’immobile, così come ha fatto il 18 novembre. Meno immaginabile è stata la solerzia con cui il 2 dicembre il procuratore capo ha chiesto il sequestro preventivo per l’indubbia sussistenza del “fumus del reato”. Così come, nei tre giorni successivi, dovrebbe far sorgere qualche domanda la politicità della pronuncia del giudice per le indagini preliminari con la quale si decreta il “sequestro preventivo” (e quindi, di conseguenza, lo sgombero) ritenendo che non esistono “ragioni genericamente sociali”, sottolineando la “assenza di titolo di sorta che giustifichi l’occupazione”, considerando le ragioni degli occupanti “del tutto irrilevanti” in quanto pur “sussistendo un contenzioso con il Comune di Bologna, nei cui confronti il medesimo centro sociale rivendica l’assegnazione di una sede, dopo lo sgombero dalla precedente, hanno unilateralmente tradotto in atto quella pretesa, ritenuta semplicemente non negoziabile, così tuttavia arrogandosi il diritto di disporre dei beni altrui”. La sentenza del gip non lascia dubbi sulla sua scelta di campo: “Il diritto di associarsi liberamente non implica il diritto di occupare immobili altrui, a proprio piacimento, in spregio al diritto di proprietà, anch’esso costituzionalmente garantito”.

Con la magistratura che fa politica, chi la politica la dovrebbe fare si ritrova ormai ad essere un “tappetino per il bagno” che calpestato dai piedi bagnati diventa terreno fertile per la proliferazione di muffa e batteri. Senza un’idea che sbatta contro l’altra, molti dei nostri pubblici amministratori, ormai si limitano a svolgere il compito di “scendiletto” dei potentati economici e delle loro mire speculative sulla città.

Come commentare altrimenti le parole proferite al Question Time, nell’aula di Palazzo d’Accursio lo scorso 13 dicembre, dall’assessore alla Sicurezza Alberto Aitini: “E’ necessario che l’area sia ridata alla proprietà con l’impegno fondamentale che ci deve essere da parte della proprietà di far partire finalmente quel percorso di riqualificazione che da tanto tempo l’amministrazione comunale, ma in generale la città, chiedono per quello spazio”.

Quali sono questi progetti di riqualificazione? Tirateli fuori se li avete. Che di vostre idee sulle ex aree militari ne abbiamo udite talmente poche e quelle poche erano tutte talmente confuse… solo della rapidità con cui sono state accantonate ci siamo accorti.

La realtà è che quasi tutti gli spazi che sono stati “ridati alle legittime proprietà” dopo gli sgomberi sono, dopo anni, ancora drammaticamente vuoti e abbandonati. E la polvere è l’unico elemento distintivo che rende riconoscibile la vostra idea di città.

Certo, la mattina davanti allo specchio, ripetete più volte, fino ad imparare a memoria: “Non esistono trattative e non esisteranno trattative con chi occupa abusivamente degli spazi. La Giunta è molto unita su questo. E’ arrivato il momento che le autorità competenti, le forze dell’ordine in particolare, intervengano in modo risolutivo”.

Così qualche ora dopo, rispondendo alle interpellanze dei rappresentanti della destra, farete bella figura e ruberete, a vostro modo, la scena a Salvini. Che sulla vicenda, insieme alla sua pupilla Borgonzoni, non ha speso tante parole, perché si è reso conto che con lui o senza di lui l’ordine pubblico è gestito con le stesse modalità. Che le norme dei suoi pacchetti Sicurezza potranno essere utilizzate il giorno dello sgombero prossimo a venire dell’ex caserma Sani (tanto, al di là delle chiacchiere, sono ancora tutte in vigore, così come quelle del suo predecessore Minniti).

E i “coraggiosi”, quelli che nella campagna elettorale per le prossime regionali del 26 gennaio fanno da sponda “sinistra” della coalizione per Bonaccini, non hanno niente da dire su questa vicenda? Sono soddisfatti su come la Regione Emilia-Romagna ha affrontato in questi anni di “buon governo” la questione delle aree militari? In qualche modo si erano fatti vedere quando scoppiò il caso dell’area dei Prati di Caprara, sulla ex Sani gli si è attorcigliata la lingua?

E dire che alcune o alcuni di quegli esponenti della “lista coraggiosa” le suole delle scarpe sul pavimento di un centro sociale qualche volta le hanno appoggiate…

Poi ci sono gli “artisti impegnati”, gli intellettuali che servono a tavola i poveri, quelli che hanno la lingua sciolta su tante iniziative di solidarietà, perché sulla dell’ex Sani non hanno nulla da dire? Quelli dell’Xm24 sono troppo “brutti, sporchi e cattivi”?

Eppure nei capannoni dell’ex caserma ci sono andati Zerocalcare e Elio Germano, due che a livello artistico non sono mica dei “micio micio bau bau”.

Del resto, muti come i pesci ci sono rimasti anche i fondatori bolognesi delle Sardine. Non vogliamo dare consigli a nessuno, ci sono già troppi in giro che fanno le pulci al loro movimento e lo vivisezionano a più non posso, ma se (giustamente) si chiama alla mobilitazione contro Salvini, dire due parole su chi, come a Salvini, piacciono gli sgomberi usando le ruspe rischia di diventare troppo “divisivo”?

La capitale degli sgomb(e)ri

Parlando di sgomberi e volendo fare un bilancio di fine anno, impiegando altri indicatori da quelli usuali, siamo costretti a sottolineare, e senza nessun pericolo di approssimazione, che l’amministrazione Merola, nel corso dei quasi due mandati di governo, ha superato tutte le altre (anche quella del sindaco/sceriffo Cofferati). Tra le azioni per “riportare la legalità” gestite direttamente (sgomberi di villaggi rom, Atlantide, Xm di via Fioravanti 24) e quelle a cui ha assistito compiaciuta (le varie occupazioni abitative di Social Log e Asia, le diverse di Crash, Labas) si è sicuramente ritagliata il gradino più alto del podio. Che quegli spazi “liberati dalla illegalità” siano diventati luoghi utili alla collettività nessuno ha il coraggio di affermarlo, che invece ci sia stata una grande capacità nell’innalzare muri questo è indubitabile. Se volessimo fare un’equazione non troppo balzana potremmo dire che le “bombe intelligenti” contribuiscono ad “esportare la democrazia” come gli “sgomberi legalitari” aumentano la giustizia sociale e arricchiscono culturalmente i territori.

Una supremazia che finora è sempre mancata all’amministrazione Merola è lo “sgombero natalizio”, per fare il paio con i frequentissimi “sfratti forzati agostani”. Oggi con il probabile sfollamento dell’ex Sani anche di questo primato si potrà fare vanto.

Riflettendo sull’amarezza che un simile evento ci potrebbe produrre, e al tempo stesso sulla rabbia che ci scatenerebbe, ci torna alla mente lo sgombero della Fabbrika di via Sebastiano Serlio del 28 dicembre 1990, qualche giorno dopo Natale. Eravamo a 100 metri in linea d’aria dall’ex Sani, il sindaco era Renzo Imbeni. All’alba, decine di poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa, coadiuvati da un gruppo di operai edili col volto travisato dai passamontagna, entrarono nell’ex area industriale. L’operazione fu portata a conclusione quando le ruspe della Edilcoop, “protette” dalle forze dell’ordine, ridussero a macerie 33.000 metri quadrati di capannoni. Finì, così, nel modo più violento e arrogante che si potesse scegliere, l’esperienza del Magico Centro Multimediale che, tra alti e bassi, produsse per tredici mesi un palinsesto di varie culture, fatto di incontri, ricerche, scambi, sperimentazioni. Attorno alla Fabbrika ruotarono diversi gruppi: il Laboratorio Spontaneo, il Damsterdamned (che si occupava di cinema e di musica sperimentale), l’Isola nel Kantiere, Multimedia Attak e Arti/Interrotte (che organizzavano i concerti), un gruppo di studenti dell’Accademia costruì un laboratorio di pittura e scultura, gli ambulanti del DecoMela Art diedero vita ad un atelier di artigianato. I migranti di “Senza Frontiere”, invece, continuarono la loro lotta per un tetto traslocando in via Stalingrado, dove vennero occupati due palazzoni dello Iacp che erano murati da anni.

L’altro sgombero post-natalizio avvenne 29 dicembre 2003, in via Azzo Gardino 61, nell’ex sede del circolo dei Monopoli di Sato, in città governava l’amministrazione Guazzaloca. L’idea che aveva dato vita all’occupazione e a Vag61(acronimo dell’indirizzo dello stabile: via Azzo Gardino 61) era di uno spazio di libertà fisico e mentale, accogliente e aperto, che fosse principalmente un media center di movimento ma anche una sala studio, un luogo di eventi e socialità… La richiesta di sgombero da parte dei Monopoli fu immediata. L’incredibile, però, era dietro l’angolo. Il “padrone di casa” aveva in serbo ben altro destino, per gli ampi spazi di Vag61. Volevano depositare in quel palazzo bellissimo milioni di cedolini del totocalcio e le macchinette videopoker sequestrate.

Il 29 dicembre, alle 6 del mattino, Polizia e Carabinieri entrarono, fecero portare fuori le cose e murarono l’immobile. Che via Azzo Gardino 61 sia rimasto vuoto fino ad ora sembra non interessare nessuno.

Perché, dunque, dovrebbe essere diverso se l’ex caserma Sani venisse sgomberata nei prossimi giorni?

Intanto il sindaco Merola ha fatto uscire “La Regione orizzontale, persone, lavoro, diritti: l’Emilia-Romagna insiste”, secondo le sue parole si tratta di un piccolo manuale per le elezioni in Emilia Romagna (“una regione distesa in orizzontale in un paese verticale”), utile ora ma anche dopo. Quasi in contemporanea a questa straordinaria pubblicazione è arrivata anche una profezia del primo cittadino sulla caserma Sani: “Ci sarà l’espansione a Nord della Fiera, il tecnopolo, i progetti di Unipol per l’ex Samputensili. Qui nascerà la nuova Bolognina. E l’ex caserma Sani, farà parte di questo disegno… A febbraio ci saranno novità sulla caserma Sani, ve le diremo allora…”.

In attesa dell’annunciato “eden meroliano” noi continuiamo a volare basso e a sostenere la lotta dell’Xm24 e di tutta la “nuova moltitudine” che il 15 novembre ha preso spazio. Facciamo nostre le parole che chiamano alla mobilitazione contro il nuovo sgombero: “Alla legalità miope e disumana per cui non esisterebbero ‘ragioni genericamente sociali’ all’occupazione, evocata in difesa di uno spazio urbano che è di tutte e tutti, lasciamo che a rispondere siano le migliaia di persone che in queste settimane hanno attraversato la nuova esperienza autogestita negli spazi in liberazione dell’ex caserma Sani. Loro sequestrano, Noi Liberiamo!”.