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Dopo lo sgombero, “ecco la storia di Libero e della sua famiglia”

Il quartiere S.Stefano minaccia querela e l’Adl torna sulla vicenda del bimbo sgomberato da via Solferino. Le riflessioni di Antigone ed Educatori contro i tagli sull’ex Telecom. In quattro anni raddoppiate le richieste di sfratto.

09 Novembre 2015 - 11:09

Sgombero via Solferino (foto fb Làbas)La presidente del quartiere Santo Stefano, Ilaria Giorgetti, ha minacciato di presentare querela per il comunicato stampa dell’Adl Cobas sulla vicenda del piccolo Libero e la sua famiglia. Il sindacato ha poi diffuso le seguenti precisazioni: “Dopo lo sgombero degli appartamenti di via Solferino, la soluzione provvisoria individuata dal Pris per la famiglia di Sara è stata quella di farli alloggiare in un albergo fuori dal centro. Soluzione che ha messo la famiglia nelle condizioni di dover spendere i propri risparmi in biglietti dell’autobus per raggiungere il posto di lavoro, e in pasti caldi, dal momento che in albergo non c’era la possibilità di accedere ad una cucina. La famiglia ha rifiutato la presa in carico da parte del Comune di residenza in quanto questo avrebbe significato perdere quel pur minimo salario che la madre ed il padre di Libero riescono a ricavare da un lavoro precario (pagato a voucher) a Bologna. Lavorano a Bologna e sono obbligati a restare qui per non perdere il lavoro. Nessuna soluzione è stata trovata dai servizi sociali del quartiere Santo Stefano. L’alloggio in cui Sara e la sua famiglia si sono sistemati è garantita dall’ospitalità temporanea, in un appartamento piccolissimo, che un’amica di Sara ha offerto. Sara ha ripetutamente richiesto un aiuto da parte dei servizi sociali a reperire un alloggio in affitto ed ha deciso di andare a vivere da questa sua amica per la paura di perdere il figlio. Durante l’incontro ai servizi sociali del quartiere Santo Stefano di venerdì 30 ottobre (incontro al quale come rappresentanti sindacali ci è stato impedito di partecipare, come quello seguente) Sara e Salvatore sono stati posti di fronte alla seguente affermazione: ‘L’albergo scade il 5 novembre, entro quella data dovete reperire una sistemazione idonea, non avete qualche amica che può ospitarvi? Qualche parente? Se entro quella data voi non trovate una sistemazione noi siamo obbligati a garantire il minore e metterlo in una struttura ma senza poter garantire i genitori’ (e questa non ci sembra sia proprio la prassi…). Ora, ci si può dire tutto meno che i servizi sociali del quartiere Santo Stefano abbiano risolto il caso. L’ospitalità temporanea non è una soluzione e non è stata garantita dal lavoro dei servizi sociali ma dal buon cuore di un’amica di Sara (ed il welfare non dovrebbe dipendere esclusivamente dalla ‘bontà d’animo’ dei cittadini…). E se ci rendiamo conto che nei confronti di una famiglia con un bambino piccolo vengano adoperate delle pressioni psicologiche (come insinuare il dubbio che se non fosse stata trovata una sistemazione idonea sarebbe stata possibile la separazione dal bambino dai genitori) ci sentiamo obbligati a dirlo pubblicamente”.

L’associazione Antigone Emilia-Romagna, invece, diffonde un commento sullo sgombero dell’ex Telecom: “Negli ultimi 11 mesi, le forme innovative di solidarietà realizzate nell’occupazione della palazzina ex-Telecom, abbandonata da un decennio, hanno segnato la vita sociale di Bologna: 280 persone con 17 nazionalità rappresentate (italiani inclusi), 120 nuclei familiari (con un centinaio di minori) hanno recuperato lo stabile, trasformando gli uffici in appartamenti belli e accoglienti. Chiunque abbia ‘respirato’ il clima e conosciuto la socialità all’interno ne ha tratto sensazioni positive. Questo fino allo sgombero di martedì 20 ottobre 2015, operato da più di 200 poliziotti in tenuta anti sommossa, che ha posto fine a questo interessante esperimento di solidarietà dal basso, caratterizzato dalla contaminazione di diverse comunità nazionali e dalla ricerca di soluzioni creative ai problemi sociali e residenziali che si sono radicalizzati nel corso di questi anni di crisi economica. Tale evento si colloca in un momento davvero buio per la città, che sembra rinnegare la sua tradizione politico-culturale assistendo quasi quotidianamente a interventi poliziali e amministrativi che si accaniscono contro le esperienze di autogestione senza interrogarsi sul loro valore sociale e attraverso un dispositivo combinato di strumenti di criminalizzazione: fogli di via, sanzioni patrimoniali, misure cautelari, divieti e obblighi di dimora. Insomma un puro campionario di pratiche di esclusione. Di eccezionale gravità, in questo contesto, l’acquisizione da parte della Digos dei filmati contenenti le dichiarazioni dell’assessore al welfare Frascaroli, che all’indomani dell’azione in via Solferino, altro recente sgombero su un’occupazione abitativa dove erano presenti famiglie e minori e che aveva recuperato un bene da anni in disuso, con agenti in assetto militare e avvenuto senza che nè la Procura nè la Prefettura e la Questura avvisassero il Comune per un suo intervento con i servizi sociali, si diceva colpita dal fatto di non essere stata avvertita dalla questura e aveva dichiarato che le occupazioni talvolta ‘creano valore sociale’. Anche noi dell’Associazione Antigone Emilia-Romagna ci sentiamo di intervenire poiché questa pratica essenzialmente repressiva ci sembra rimandare a una pesante distorsione del concetto di legalità e a un utilizzo degli interventi poliziali e degli strumenti penali ormai diffuso fuori misura. Siamo di fronte all’applicazione strategica di una sorta di diritto penale massimo, attivato per il controllo della marginalità e della conflittualità sociale, indebitamente intese come puri illegalismi riconducibili a responsabilità individuali. Non è così: il disagio e le rivendicazioni che si esprimono oggi nei contesti urbani, attraverso forme anche radicali di conflittualità sociale e politica rimandano a responsabilità collettive, hanno origine nei mutamenti strutturali in campo economico e nelle strategie politiche (anche retoriche) che li accompagnano. Proprio nelle dimensione locale gli effetti più avvilenti e dannosi di questi cambiamenti si rendono manifesti, ed è a livello locale che dalle agenzie istituzionali (amministrazione comunale e regionale, questura e prefettura) sarebbe legittimo attendersi proposte organiche di gestione che non si limitino a un uso della forza di per sè fallimentare e di corto respiro politico”.

Sempre da Antigone: “Il diritto penale non è mai neutro nelle sue declinazioni repressive così come in quelle orientate alla tutela della sicurezza e delle garanzie. Certo è significativo che alcuni suoi istituti sopravvissuti dall’era del codice Rocco vengano oggi recuperati nella gestione dei conflitti per donare agli interventi appena menzionati non solo l’etichetta della legalità ma, clamorosamente, quelli della legittimità politica. Ed è senz’altro interessante che questa dinamica si verifichi in particolare a Bologna, che appare così configurarsi come avamposto di una sperimentazione reazionaria, al di là del solidarismo di facciata che le sue élite esprimono costantemente. Siamo di fronte alla realizzazione di una politica del controllo dei problemi sociali che ricorre al penale nel quadro della dissoluzione delle forme (anche locali) di welfare? Queste applicazioni del diritto, queste misure poliziali, queste forme di neutralizzazione derivano piuttosto da un ventennale processo di disumanizzazione e demonizzazione delle figure destinate a subire le ‘nuove’ strategie repressive agli occhi della pubblica opinione. Migranti, poveri, marginali, ex detenuti: altri, diversi da noi, non-persone. Forse non è un caso che la maggioranza degli occupanti dell’ex-Telecom fossero migranti e siano stati ‘affrontati’ (madri e bimbi inclusi) con un dispiegamento di forze di polizia inusitato. Forse non è casuale che esso poi si sia giustificato per ‘fronteggiare’ i gruppi di militanti di base che sostenevano l’occupazione al fine di giustificare una declinazione e gestione solo in termini di ordine pubblico di una situazione sociale. Il diritto penale è politico. E se la nostra battaglia vuole andare nella direzione di cambiare le leggi, essa deve essere anche lucida nell’analisi di come le leggi vengono utilizzate e contro chi vengono utilizzate, e non deve mai separare il concetto di legalità da quello di giustizia”.

Sullo sgombero dell’ex Telecom ci viene segnalato anche un contributo che arriva dagli Educatori contro i tagli: “A chi obietta che tra gli occupanti ci sia stato un uso strumentale dei bambini in chiave anti sgombero, che molti non avevano accettato in precedenza la collaborazione dei servizi per trovare soluzioni abitative alternative, è sin troppo semplice rispondere che il problema non può essere il nostro giudizio valoriale sui metri di misura per disperazioni così acute. Il problema non sono loro, siamo noi, cosa siamo noi, cosa siamo diventati. Una massa informe di cittadini spaventati che sperano passi la bufera: via, tratteniamo il respiro che poi tutto tornerà come prima. Ma nulla tornerà più come prima: le masse che si spostano non sono un’emergenza del nostro tempo, sono il nostro tempo. Almeno se ne accorgesse la politica, ma pare proprio lei la prima vittima di tutta quest’esplosione di muscoli e brutalità, di prepotenza e ingiustizia sociale. Eppure basterebbe poco per trasformare questa indifferenza ostile in accoglienza, basterebbe non individuare in tutte le esperienze organizzative d’inclusione sociale che con enorme fatica sbocciano dal basso, dei nemici da abbattere come birilli ma aiutarle a diventare forza propulsiva, elemento di contagio per una città più equa e solidale. Basterebbe creare sul territorio luoghi di esistenza transitoria degna per tutte queste genti di passaggio, spazi dotati dei servizi fondamentali, piccole abitazioni prefabbricate mono famigliari (e superare finalmente l’orrore delle famiglie divise dopo lo sfratto: la madre con i minori in albergo, il padre il più delle volte in macchina, la condizione di fragile precarietà che da passeggera diventa permanente tra il menefreghismo degli ipocriti adulatori dei vari family day). Basterebbe rispondere all’unica domanda che di fronte a questi fatti ha senso farsi: esiste ancora il diritto all’esistenza? Esistenza reale, culturale, politica, come dimostra la scia di repressione che in pochissimi giorni da Atlantide, passando da via Solferino, è arrivata fino in via Fioravanti e poi chissà dove”.

In tutto questo, gli sfratti aumentano: da 600 richiesti nel 2011 si è passati a 1.380 nel 2014, con un trend che sta continuando a crescere ed un incremento del 76% sulla morosità incolpevole.