Acabnews Bologna

Dal 26 giugno “una settimana transfemminista”

“Ci vogliamo vivə, ci vogliamo liberə e autodeterminatə e vogliamo gridarlo tuttə insieme”: tra gli appuntamenti promossi da un’ampia rete di collettivi e associazioni il “primo luglio transnazionale contro il contrattacco patriarcale” e, sabato 3, “un Pride di rivolta”.

17 Giugno 2021 - 15:48

“I collettivi e le associazioni LGBTQIA+ di Bologna con il nodo locale di Non Una Di Meno (rete transnazionale femminista e transfemminista) si fanno carico di una nuova progettualità politica e organizzano una settimana transfemminista (26 giugno-3 luglio 2021). I due appuntamenti principali sono la manifestazione del ‘Primo luglio transnazionale contro il contrattacco patriarcale’ e il Rivolta Pride del 3 luglio. Il percorso di costruzione del Pride di quest’anno sarà un percorso dal basso e orizzontale, e per permettere a tuttə di partecipare abbiamo organizzato delle assemblee pubbliche. Il prossimo appuntamento è giovedì 17 giugno ai Giardini Margherita alle 19. Sempre ai Giardini Margherita dalle 19 ci ritroveremo in assemblea anche il 24 giugno”.  Così un comunicato giunto in redazione a firma Lesbiche Bologna, Gruppo Trans ASP, Laboratorio Smaschieramenti, Plus Bologna, MIT Movimento Identità Trans, Collettiva Matsutake, Non Una di Meno Bologna, Famiglie Arcobaleno, Agedo, Grande Colibrì, Elastico Fa/art, La Mala Educaciòn, Mujeres Libres Bologna, UAAR Circolo di Bologna, Komos, Frame, Cassero LGBTI+ Center, B-Side Pride, Comitato Bologna Pride, Red, Ombre Rosse.

Si legge poi: “Siamo collettivi, associazioni, attivistə che dal 2019 hanno preso parola insieme per rispondere alla proposta di legge contro l’omotransfobia dell’Emilia Romagna: abbiamo scritto e manifestato ponendo l’accento sui reali bisogni materiali e contro gli scambi politici sui nostri corpi.  Abbiamo poi aderito alla piazza nazionale del 15 maggio e organizzato la piazza di Bologna del 16 maggio sotto lo slogan #moltopiudizan.  Abbiamo preso parola a partire dalle differenze espresse dalle nostre sessualità e generi dissidenti, come persone con disabilità e siero-coinvolte. Chiediamo molto più di Zan perché una misura repressiva non ci basta: desideriamo e abbiamo diritto all’accesso alla salute, ad un reddito di autodeterminazione e alla cittadinanza e al permesso di soggiorno svincolati dalla famiglia e dal lavoro”.

L’appuntamento del Primo luglio transnazionale contro il contrattacco patriarcale, spiegano le realtà transfemministe, “si concentrerà sul ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul e coinvolgerà le piazze di tutto il mondo. Dopo il ritiro di Erdogan la Convenzione viene ora respinta in tutta l’Europa centro-orientale. Ritirandosi dalla Convenzione, Erdogan vuole garantire l’impunità e la legittimità della violenza domestica e di Stato contro le donne e le persone LGBTQIA+ – che ha subito un aumento proprio durante il coprifuoco imposto dopo il ritiro dalla Convenzione –, così come le torture per mano della polizia, gli abusi sessuali e le incarcerazioni contro le donne e i bambini curdi. L’Unione Europea finge di non vedere, fintantoché il regime di Erdogan tiene i richiedenti asilo fuori dai confini europei. Da est a ovest, da nord a sud, i governi stanno sfruttando la pandemia per rimettere le donne in quelle posizioni sociali che esse stanno contestando: nelle case, a prendersi cura gratuitamente della famiglia, oppure sfruttate e sovraccaricate di lavoro nei settori essenziali. Il Primo luglio vogliamo gridare che la lotta delle persone LGBTQI+ per la libertà sessuale e contro la loro criminalizzazione, e quella contro la violenza patriarcale sulle donne, costituiscono una lotta transnazionale comune per la sovversione della riproduzione neoliberale e razzista della società patriarcale”.

Poi, “il 3 luglio sarà un Pride di Rivolta, contro la violenza sistemica e la reazione cattolico femonazionalista che sta rallentando il dibattito sui diritti sociali, civili ed economici della comunità LGBTQIA+ e di tutte le altre realtà marginalizzate soggette a discriminazione. Ci siamo unitə in un periodo cruciale. Quest’anno abbiamo assistito ad una recrudescenza della violenza nei confronti della nostra comunità, il che richiede una presa di parola ancora più forte”.

Molte le rivendicazioni della mobilitazione: la prima è “molto più del ddl Zan!”, e a seguire “l’educazione al genere, alla sessualità e all’affettività in tutte le scuole: basta con lo spauracchio dell’ideologia gender. Vogliamo la possibilità di accedere alla carriera alias in tutti i percorsi formativi”.

Si chiede poi “accesso alla salute reale per le persone sieropositive, per le persone disabili, per le donne, per le persone trans e per le lesbiche. Vogliamo un superamento della legge 164/1982 sulla base del principio di autodeterminazione e del modello del consenso informato, non tolleriamo più la psichiatrizzazione e patologizzazione delle nostre identità, come persone trans rifiutiamo la diagnosi di una patologia inesistente e il passaggio di validazione delle nostre vite in un tribunale. Rifiutiamo l’abbandono della prevenzione e cura dell’HIV e delle Malattie Sessualmente Trasmissibili, gli ostacoli all’accesso all’aborto e alla genitorialità queer, l’eterosessualità come unico orizzonte narrativo quando abbiamo bisogno di ginecologə, andrologə o qualsiasi specialista; abbandoniamo la relazione gerarchica medico-paziente per promuovere sapere diffuso sulla nostra salute: sono decenni che accumuliamo competenze tra le lacune della medicina ufficiale”.

E ancora: “Reddito di autodeterminazione: l’emancipazione economica è fondamentale per tuttə, soprattutto per le soggettività più marginalizzate in questa società patriarcale. Non è possibile fuoriuscire da situazioni di violenza se si è tenutə in condizioni di povertà”; “centri antiviolenza gestiti dalla comunità di riferimento delle persone che subiscono violenza, percorsi di fuoriuscita anche per minori discriminati per la loro identità di genere o per la loro sessualità”; “permessi di soggiorno slegati dal lavoro e dalla famiglia, reali e diffusi, servizi per persone LGBTQIA+ rifugiatə e accesso alla cittadinanza”.

“Vogliamo – continua il testo – contrastare ogni forma di Pinkwashing insieme alla comunità LGBTQIA+ Palestinese” e inoltre “auto-rappresentarci: vogliamo spazio e ascolto. Siamo stanchə di sentirci parlare addosso e di vedere le nostre voci sovrastate da persone eterocisgender! Lottiamo per costruire ambienti liberi dalla cultura dello stupro, dal machismo, dall’abilismo, dal razzismo, dall’odio per le persone lgbtqia+. Ora più che mai abbiamo bisogno di nuovi spazi transfemministi in città in cui praticare accoglienza, scambio e mutualismo”.

In conclusione, “ci vogliamo vivə, ci vogliamo liberə e autodeterminatə e vogliamo gridarlo tuttə insieme con un Pride politico e radicale!”