Attualità

Cucchi, Ferrulli, Uva: pioggia di querele del Coisp

Il sindacatino continua a prendersela con i familiari delle vittime della violenza di stato. Domenica Ferrulli, figlia dell’uomo ucciso dai poliziotti a Milano nel 2011: “Se dire la verità costituisce reato, io andrò avanti a commetterne”.

31 Gennaio 2014 - 13:44

di Ercole Olmi da Popoff

Murales per Michele Ferrulli

«Oggi ho appreso di essere stata denunciuta dal Coisp dal sig. Franco Maccari,oltre me hanno denunciato anche Lucia Uva e Ilaria Cucchi – scrive Domenica Ferrulli – Non so ancora per quale reato sono stata denunciata, domani il mio avvocato Fabio Anselmo si recherà in procura a Roma per ritirare il fascicolo a mio carico. Questa per me è la prima denuncia se dire la verità costituisce reato, io andrò avanti a commettere reati, tanti reati, continuerò a dire la verità che tutti conosciamo.

In Italia funziona così chi ammazza i nostri cari rivestendo una divisa, negando spudoratamente anche d’avanti ai giudici, dopo aver fatto un giuramento continua a lavorare e chi dice la verità viene denunciato.

Non mi fermerò continuerò a dire la verità, non sono spaventata, vogliono condannarmi per aver detto la verità, io mi assumo le mie responsabilità, non ho nulla da temere chi ha qualcosa da temere e chi indossa una divisa sporca di sangue. La divisa è sacra rappresenta lo stato, chi ha ucciso non è degno di indossare una divisa, deve essere buttto fuori dalle istituzioni. Grazie a tutti»

Lucia Uva, sorella di Giuseppe, ucciso dopo alcune ore di permanenza in caserma a Varese. Domenica Ferrulli, figlia di Michele, ucciso a Milano, per strada, per un infarto indotto dal pestaggio di quattro agenti. Aveva il volume dello stereo troppo alto. Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, ucciso in un calvario tra guardine dei carabinieri, celle di tribunale, carcere e ospedale penitenziario. Leonardo Fiorentini, cittadino ferrarese, indignato per la provocazione del Coisp a Patrizia Aldrovandi, mamma di Federico, ucciso da quattro poliziotti.

Tutte queste persone hanno in comune il fatto di essere state querelate – gli avvisi sono stati recapitato oggi – dal leader del Coisp, un sindacatino di polizia, una scissione del Sap, balzato agli onori delle cronache per le provocazioni mediatiche e no nei confronti delle vittime di malapolizia e dei loro familiari. Ogni 20 luglio provano a manifestare in piazza Alimonda, fingendo di non sapere che Carlo Giuliani raccolse l’estintore dopo aver visto una pistola impugnata da killer contro di sé. E l’anno passato la sigla ebbe la brillante idea di manifestare sotto il palazzo che ospita il Comune di Ferrara in solidarietà coi quattro colpevoli dell’omicidio di Federico Aldrovandi. Ma in quel palazzo lavora Patrizia Moretti, la madre di Federico, che fu costretta a scendere per mostrare al manipolo di poliziotti sindacalisti la foto di suo figlio morto. Ne seguì un’indignazione generale con migliaia di persone che manifestarono a Ferrara in solidarietà con la famiglia Aldrovandi e un sostanziale isolamento del sindacatino anche da parte di altre strutture sindacali non certo tacciabili di morbidezza nei confronti dei movimenti sociali e della società civile.

La reazione del Coisp è stata furibonda con decine e decine di querele a giornalisti, politici, cittadini e anche ai familiari delle vittime, spesso sfiancati da estenuanti battaglie processuali.

A che cosa serve quest’ondata di querele destinate, si spera, a finire in archiviazioni? A parlare alla “pancia” della polizia di stato per fare un po’ di tessere o a sfruttare l’occasione per cavalcare la piccola popolarità del clamore delle cronache? In entrambi i casi, è una rivelazione ennesima dei limiti dell’imperfetto sindacalismo di polizia e della distanza siderale che separa la società dalla brevissima stagione della riforma della polizia in senso democratico.

Ma c’è un’altra Italia che, con lentezza, sta maturando l’idea che un’altra polizia è possibile, che non deve accadere mai più che un cittadino possa incappare in un controllo di polizia così brutale da ucciderlo e in apparati così omertosi da depistare e insabbiare le indagini. E’ un’Italia altra che nasce da quel Paese dei comitati fatti da genitori, fratelli, amici e compagni di chi è morto in piazza, in strada o in treno per mano di fascisti, mafiosi, poliziotti impazziti o pezzi di servizi più o meno deviati. E’ una lunga marcia che una pioggia di querele non potrà fermare.