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Coronavirus, il Tribunale dice no al trasferimento dei richiedenti asilo da via Mattei

Cordinamento migranti: “Sentenza che conferma il razzismo delle leggi e delle istituzioni di questo Paese”. Asgi, che aveva presentato l’esposto: “Decisione ingiusta”. Ieri sera, intanto, solidali con megafono e fuochi d’artificio sotto il carcere della Dozza.

11 Maggio 2020 - 12:51

Il Tribunale di Bologna ha respinto l’esposto con cui l’Asgi ha chiesto il trasferimento dal Cas di via Mattei dei richiedenti asilo che lì vivono ammassati e senza la possibilità di rispettare le misure di distanziamento e contenimento del coronavirus. Lo comunica il Coordinamento migranti: “Tra una fase e l’altra, nulla sembra cambiare per le donne e gli uomini migranti costretti a convivere con il razzismo e lo sfruttamento. In quasi tutte le strutture cittadine la vita dei e delle migranti, degli operatori, operatrici e interpreti, continua a essere messa in pericolo. Alcuni di loro sono ammalati ma non è possibile saperne niente. Come se fosse una fastidiosa polvere, la loro salute viene messa sotto il tappeto. Mentre Regione, Comune e Prefettura continuano a tacere, il Tribunale di Bologna ha emesso una sentenza che conferma il razzismo delle leggi e delle istituzioni di questo paese. Dopo le denunce pubbliche dei migranti del Cas Mattei, appoggiate dal Coordinamento, da tutte le comunità di richiedenti asilo e molte altre realtà politiche e associative bolognesi, la legge ha parlato. Il Tribunale ha respinto l’esposto con cui l’Asgi chiedeva il trasferimento dal Mattei dei richiedenti asilo che vivono ammassati e senza possibilità di rispettare le misure di distanziamento e contenimento del coronavirus”.

Il Tribunale ha stabilito che “l’esposto andava presentato al Tar, perché la prefettura avrebbe un potere discrezionale sull’eventuale trasferimento. Inoltre, il Tribunale ha negato all’Asgi il diritto a presentare una causa collettiva per parte dei migranti: sarebbero i singoli migranti residenti al Mattei a doversi esporre in prima persona. La giudice conosce benissimo i meccanismi di ricatto, espliciti o meno, a cui sono sottoposti i richiedenti asilo nelle strutture, ma ha deciso di ignorarli. Certamente sa anche che in questo modo tutto continuerà come prima. Come ha dichiarato l’avv. Nazzarena Zorzella, legale dell’Asgi, ‘si tratta di una decisione non condivisibile ed ingiusta, perché il diritto alla salute per i richiedenti asilo non può essere condizionato da valutazioni discrezionali della Prefettura’. Da che parte si schieri la legge quando si tratta di migranti non è per noi una sorpresa. Questa applicazione del diritto non sorprende nemmeno i migranti che da anni si scontrano quotidianamente con il razzismo delle istituzioni che li accolgono, li tassano, li disciplinano per il tempo sufficiente a metterli nelle mani di padroni e padroncini. Molti dei richiedenti asilo ospitati a Bologna lavorano nelle fabbriche, nei servizi, o nei magazzini dell’Interporto. Moltissimi saranno reclutati per risolvere i problemi della raccolta ritardata dalla pandemia nel meridione d’Italia. Il comico e brutale balletto sulla regolarizzazione è in scena proprio in questo momento. Le donne e gli uomini migranti non si faranno spaventare, così come non si illudono su quale sarà l’esito dell’infame dibattito sulla regolarizzazione. Per i migranti la fase due che tutti aspettano non sarà diversa dalla precedente. Di diverso ci sarà, e lo diciamo già da ora, che scenderemo in piazza nelle prossime settimane per far sentire pubblicamente la nostra voce e per prendere posizione contro lo sfruttamento sistematicamente e legalmente organizzato sulla pelle dei e delle migranti”.

Intanto, la Rete bolognese di iniziativa anticarceraria segnala: “Compagn* riferiscono che ieri sera c’é stata una presenza rapida con megafono e fuochi d’artificio sotto al carcere bolognese della Dozza. Presenza alla quale i detenuti hanno risposto facendosi sentire molto. Vale la pena ricordare che alla Dozza è morto un secondo detenuto di Covid-19″. Si chiamava Giovanni Marzoli, ha scritto la Rete in un precedente intervento: “Il 31 marzo era stato ricoverato una prima volta e poi dimesso con rientro in carcere dopo circa 10 giorni, nella ‘sezione Covid’, poiché risultato positivo al tampone. Il 18 aprile era stato nuovamente ricoverato al Sant’Orsola. Soffriva delle cosiddette ‘patologie pregresse’, aveva 67 anni. Entrato in carcere a febbraio ne esce morto”.