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Concorsi truccati e prof indagati, ma Ubertini tace

Cua: “Ubertini sa bene che la corruzione è strutturale”. Noi Restiamo: “Inchiesta non stupisce, Università italiana dominio di baroni e clientelismo”. Intanto in via Belmeloro nasce Rizoma Autogestito, “dove gli studenti si riprendono la loro centralità”.

27 Settembre 2017 - 12:30

L’inchiesta sui concorsi truccati all’Università di cui si parla in questi giorni coinvolge anche alcuni docenti dell’Alma Mater, ma da parte del rettore Francesco Ubertini si sente solo un assordante silenzio. E’ uno degli elementi che rileva anche il Cua, che commenta così le notizie sull’inchiesta circolate in questi giorni: “Ora, precisiamolo fin da subito, non saremo certo noi, né ora né mai, a gioire per perquisizioni, interrogatori o arresti di chicchessia. Quella retorica manettara, che per tanto e troppo tempo ha affascinato intensamente e in via del tutto strumentale alcuni ambienti culturali della cosiddetta sinistra, legati per lo più all’esperienza parlamentare e para istituzionale, contribuendo alla costruzione della mitologia della legalità e della ‘magistratura buona’, garante della giustizia per il popolo, non ci è mai appartenuta. Siamo anzi stati noi spesso i primi a prendere marcatamente le distanze da questo genere di cultura politica, che abbiamo sempre considerato pericolosa per le lotte sociali, intaccata com’è da presupposti legalitari e tendenze reazionarie. Eppure, in seguito a fatti così gravi per i temi che sollevano e le conseguenze che stanno comportando e comporteranno, riteniamo necessario dire alcune cose, tanto più perché, in quanto universitari, non possiamo che sentirci toccati da vicino da eventi di questo genere. Sul merito di quanto è emerso dalle prime informazioni che sono trapelate dalle indagini della magistratura, non possiamo far altro se non registrare, per quanto attiene al mondo accademico e della ricerca, l’ennesima conferma di un quadro complessivo vergognoso che andiamo denunciando da anni. E’ triste da dire, ma andare da un qualsiasi studente universitario a raccontare quel che è stato scoperto, pur portando con sé titoloni in rosso e punti esclamativi, che permettano di risaltare i più forti elementi di scandalo, risulterebbe nella maggior parte dei casi un’operazione un po’ pacchiana e, alla fine, completamente inefficace, se condotta con l’intento di stupire o generare improvvisa indignazione. Perché? Semplice, perché, che negli ambienti accademici sguazzi un intero mondo sommerso di raccomandazioni, scorrettezze e favoritismi è cosa, bene o male, già nota ai più. Certo, ora abbiamo un registro degli indagati e delle ipotesi di reato; una serie di nomi e cognomi schedati, di fatti specifici documentati, di meccanismi ambigui – per usare un eufemismo – smascherati, ma che ci dice in più di quel che già, ahi noi, sulla nostra pelle abbiamo già sperimentato? Da prima dell’inizio delle elezioni siamo gettati in una foresta competitiva che, dal test di ingresso all’esame di laurea, per poi arrivare agli stage, ai tentativi di dottorato e a tutte le altre possibili opzioni post-laurea, passando per quasi ogni step formativo, ci costringe a barcamenarci in un mondo in cui domina la legge del ‘tutti contro tutti’ e il mantra dell’uno su mille ce la fa. Eppure -chi ancora se ne illude se ne faccia una ragione- non basta il dispositivo tecnico politico della selezione, il potere algoritmico della macchina competitiva che, a tutti i livelli, organizza il dominio del sapere morto su base statistica per la soggettivazione capitalistica della massa di forza lavoro potenziale; no, perché ai più alti livelli della fabbrica accademica, permane la forma di potere neo-feudale. Ed ecco che, come ultimo step, in cima alla scalata nel mondo accademico, al netto di tutta la disciplina che si è stati costretti ad auto imporsi per arrivare fin li, l’ultima selezione si tinge di un carattere ancestrale, una domanda più semplice ma ineludibile, nella maggior parte dei casi si scontra con i pochi sommersi al termine dei cicli selettivi: ‘Qual è il tuo cognome?’ . E’ questo, come uno schiaffo in faccia finale, l’ennesimo segno della promessa tradita, perché in quest’università, per essere l’uno su mille che ce la fa, non basta rinunciare, sopportare,accettare ma, nella maggior parte dei casi, occorre anche avere i così detti contatti giusti”.

Continua il Cua: “Se questo è un altro triste squarcio di colore del triste ritratto dell’università italiana nel 2017 lasciateci concludere constatando come, quel che ancora manca, almeno qui a Bologna, sia colui che dovrebbe avere l’onere e l’onore di fare le veci del pittore. Eh già, perché, questa volta, il rettore Ubertini, ancora non ci ha degnato di un commento sull’accaduto, cosa tanto più grave in quanto, come si è riportato precedentemente, la faccenda tocca e non poco l’università di Bologna. Strano che il nostro egregio Rettore non senta la necessità neppure di esprimere un commentino quando, proprio lui, ha voluto mostrarsi, fin dai primi giorni del suo mandato, come alfiere della giustizia e del rispetto delle regole. Segnalandosi fin da subito come inflessibile legalista e moralizzatore, ha avviato la sua carriera dedicandosi a una lunga serie di sgomberi e iniziative repressive di ogni genere, dagli attacchi contro la libertà di parola e contestazione all’interno dell’Ateneo fino alla complicità con gli interventi efferati degli apparati di polizia in assetto anti-sommossa, cosa che, come è stato già sottolineato da più parti, inserisce a pieno titolo il presente rettorato tra i più repressivi della storia della nostra Università, almeno dalla seconda metà dello scorso secolo. E allora ci chiediamo, come mai il rettore Ubertini, che tiene tanto al funzionamento normale della macchina universitaria da decidere di dirottare il primo Senato Accademico dell’anno in direzione dell’approvazione di pesantissime sanzioni – per altro, lo ribadiamo, del tutto illegittime – contro tredici dei sui studenti, non ha nulla da dire su quanto sta avvenendo in questi giorni? La risposta, temiamo, è fin troppo semplice: questi episodi di corruzione, il Rettore lo sa bene, sono strutturali nella sua Università, cosa per altro confermata dalle uniche dichiarazioni emerse in queste ore dall’interno dell’Unibo e, nello specifico, dai vertici di giurisprudenza che sono, manco a dircelo, parole di completo sostegno ai professori imputati. Quanti, tra coloro che hanno accusato gli studenti che si sono mobilitati negli scorsi mesi di turbare il corretto funzionamento dell’Università, facevano parte del sistema indebito di corruzione che sta emergendo in questi giorni? Quanti, di questi illustri professori, hanno votato in favore delle sospensioni comminate negli scorsi giorni a danno dei propri studenti, ergendosi a tribunale all’infuori di qual si voglia principio di legittimità e di legge? Domande inquietanti che restano sullo sfondo. Per quel che ci riguarda, il sistema emerso in questi giorni ci disgusta molto, ci sorprende poco e non cambia la nostra prospettiva in nulla. Per quel che sta a noi sappiamo che è solo la parte spuntata della punta di un sistema che, fin da tempi non sospetti, abbiamo deciso di abbattere dalle fondamenta, a partire dal basso”.

Scrive invece Noi Restiamo: “Non stupisce l’esito dell’inchiesta della procura di Firenze che ha visto trarre in arresto sette docenti universitari, interdirne altri 22 e coinvolgere, a vario titolo, 59 persone complessivamente. Sappiamo benissimo che l’università italiana è dominio di baroni, clientelismo e corruzione. Ma sappiamo altrettanto bene che i problemi non si limitano a questo: dal 2008 sono stati eliminati quasi 14.000 posti da professore, conseguenza di più di un miliardo di tagli. Solo il 6,5 % degli attuali assegnisti potrà effettivamente accedere ad una posizione da strutturato, ed è significativo che in tutta Italia ci siano soltanto 20 professori ordinari con meno 40 anni. E’ questa situazione- e non soltanto come diceva Cantone, il clientelismo diffuso- che sta portando a una generale emorragia di ricercatori, che non trovando spazio in Italia vengono assorbiti da altri sistemi universitari, in particolare da quelli del Nord Europa. Rifiutiamo quindi la retorica di chi presenta la corruzione come unico male dell’università e la ‘meritocrazia’ come cura salvifica, distraendo dalle responsabilità politiche di un piano strutturale di impoverimento e mortificazione dell’istruzione superiore. Contro un’università in mano ai baroni. Contro un’università sempre più escludente e di élite”.

Intanto, oggi in zona universitaria si inaugura un nuovo spazio autogestito: Rizoma, in via Belmeloro 8/3. Scrive Hobo: “All’interno del campus di via Belmeloro è nato Rizoma, uno spazio nella zona universitaria, che vuole però rompere con la monotonia e le imposizioni dell’Università odierna. Un luogo in cui gli studenti e le studentesse si riprendono la loro centralità, autogestendolo secondo i propri interessi e bisogni, un luogo che favorisce l’incontro e lo scambio tra persone con interessi diversificati, che rigetta il sapere dequalificato, che ci impongono quotidianamente nelle noiose lezioni universitarie, per favorire la produzione di un discorso critico, altro, conflittuale, un luogo non predefinito né standardizzato in cui gli spazi e i tempi sono autorganizzati, le condizioni di vita non imposte, ma scelte. Rizoma è questo e tanto altro, e mercoledì 27 settembre invitiamo tutti e tutte a riempirlo di musica, socialità e arte, aderendo alla call for artists o semplicemente partecipando al pomeriggio di inaugurazione con i Rap Caverna Posse e Dj Dodo!”.