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Community center, operai e poliziotti nello spazio

La mossa dell’ateneo all’indomani della riapertura. Hobo: “Ecco l’inclusività che intendono: quella di Digos e caschi blu all’interno dell’Università”. E Lubo sulle sanzioni: “Nessuno sia lasciata solo, dobbiamo creare i presupposti per rendere questi dispositivi inutilizzabili”.

20 Settembre 2017 - 14:21

Lavori in corso nel Community Center di via Filippo Re, sotto la sorveglianza della Polizia. Così gli studenti hanno trovato questa mattina lo spazio riaperto ieri.

Si legge sulla pagina Facebook di Hobo: “Questo è lo stato del Community Center stamattina: polizia e lavoratori all’interno dello spazio. Il rettore Ubertini e la protettrice Trombini ancora una volta rispondono in questo modo alla riapertura di un luogo per tutti e tutte. Ecco allora l’inclusività che intendono: quella di Digos e caschi blu all’interno dell’Università”.

Intanto, sulle nuove sanzioni disciplinari inflitte dall’ateneo, interviene anche Lubo: “A distanza di più di otto mesi dalle giornate di mobilitazione di Quelli del 36 contro i tornelli all’accesso della Biblioteca di Discipline Umanistiche, la vendetta rancorosa delle istituzioni universitarie si abbatte nuovamente sugli studenti e sulle studentesse dell’Università di Bologna, grazie a ridicoli dispositivi normativi come il ‘codice etico’, volti a sanzionare l’agibilità politica di chi vive e frequenta l’Università. Attraverso l’utilizzo di quest’ultimo, il Senato Accademico ha vestito ieri i panni di un assurdo Tribunale dell’Inquisizione sospendendo tredici studenti e studentesse per diversi mesi dall’università. Questo giudizio, del tutto sommario e pressoché senza nessuna forma di garanzia verso ‘gli imputati’, è stato emesso solo in base alle informazioni fornite dalle indagini della Digos e senza neanche l’ombra di una condanna da parte di un giudice, in barba al principio di presunzione di innocenza. Inoltre, uno dei tanti aspetti grotteschi di questa vicenda assurda è ben rappresentato da chi in parte l’ha determinata: alcuni ragazzi e ragazze della nostra età che, giocando a fare il rappresentante degli studenti, riescono a far votare provvedimenti del genere non curandosi minimamente di cosa possa comportare per un loro coetaneo allontanarsi dall’università per diversi mesi. Esami che non si possono dare, altre tasse da pagare e il rischio di ritardare ulteriormente la laurea. È anche contro questa tristezza dilagante, assunta anche da molti ‘simili’a noi come la ‘bliotecaria del 36’ iscritta al PD, che tutte e tutti noi abbiamo lottato durante quella mobilitazione”.

Prosegue il collettivo: “Ce le ricordiamo bene quelle giornate e come prese vita una delle più grandi mobilitazioni universitarie degli ultimi sette anni, scardinando la passività che regnava incontrastata da troppo tempo. Sul 36, e sul tentativo da parte della governance universitaria di normalizzare uno spazio urbano molto importante per il territorio e il suo tessuto sociale, si erano agglomerate tante voci e tante individualità diverse per contrastare il folle disegno securitario che si celava dietro ai tornelli e allo storytelling dell’università-torre d’avorio, intesa come luogo esclusivo per soli studenti. Oltre allo straordinario protagonismo di centinaia di studenti e studentesse ed agli importanti risultati ottenuti da quelle giornate di lotta, tuttavia, non va scordato quali furono le risposte dell’Università alle nostre rivendicazioni. Ci ricordiamo bene, infatti, anche di quando Francesco Ubertini diede l’autorizzazione al reparto celere di sgomberare violentemente il 36 autogestito, e di come si rivendicò pienamente l’operato della polizia. Ebbene, esattamente nello spirito di quelle giornate, non permetteremo che questa assurda repressione passi sotto silenzio. Alle studentesse e agli studenti colpiti da queste misure va la nostra solidarietà incondizionata, nessuno deve essere lasciato solo, sta a noi creare i presupposti per rendere questo dispositivo inutilizzabile”.