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Aula studio a ‘Le scuderie’? Studenti: “Paradossale”

Prosegue intanto la ‘Piazza studio autogestita’ fuori dal Rettorato, Cua: “Dall’Ateneo porte chiuse. E veramente un bar è più sicuro di una biblioteca?”. Noi Restiamo: “Studenti come clienti”. Usb Università non firma contratto integrativo e esprime “forti preoccupazioni” per smart-working.

24 Giugno 2020 - 11:12

“Per la terza settimana di fila siamo davanti al rettorato con sedie e panche per studiare, per la terza settimana di fila l’Università ci fa trovare porte chiuse e nessuna risposta. È inaccettabile che l’ Università di Bologna e il magnifico Rettore dopo tutto questo tempo non ci abbiano degnato nemmeno di una parola, nonostante siamo davanti ai loro occhi”. Lo ha scritto ieri il Collettivo Universitario Autonomo, che reclama “un semestre aggiuntivo per tutt* per recuperare il tempo perso durante il lockdown e l’annullamento delle more di quest’anno e del prossimo” e promette: “La nostra rabbia prosegue e proseguirà, vogliamo indietro i soldi che ci hanno rubato con le altissime tasse che ci chiedono! Dopo il grande corteo di sabato pomeriggio non possiamo più aspettare, vogliamo diritti e risposte ora!”

Si chiede inoltre il collettivo: “L’unica cosa che Er.go è riuscito a fare dopo le pressioni degli student* è stato allestire un’aula studio in un bar… veramente le Scuderie sono più sicure di una biblioteca universitaria?”. Ieri intanto l’Ateneo ha comunicato che lunedì prossimo riapriranno le sale studio di Palazzo Paleotti, Azzo Gardino e via Petroni, tutte fino a mezzanotte e con i posti contingentati, mentre per tutte le altre non se ne parla prima di settembre. Poco prima dell’annuncio era intervenuto sul tema anche Noi Restiamo: “È giunta la notizia che le Scuderie, il ristorante in affitto presso Er.go, metterà a disposizione un’aula studio (non ci sono troppi dettagli a riguardo) nel suo locale. È assolutamente paradossale che non si aprano le aule studio reali e le biblioteche, ma si renda invece disponibile il posto in un bar. Vediamo ritornare quella visione dello studente-cliente a cui tanto Ergo (che non ha bloccato gli affitti per gli studenti) e Unibo guardano tanto: con questo provvedimento, non fanno che trasmettere quella visione clientelare del paghi e consumi. Dopo che è stata richiesta la rata finale dell’anno, l’università non ha pensato a nessun intervento per rendere disponibili le aule studio, con adeguate sanificazioni e opportuno distanziamento sociale. Non ci interessa poter studiare (solo in pochi) potendo comprare le brioches, vogliamo aule studio e un adeguato servizio bibliotecario, per poter avere i crediti che ci servono e per poter dare esami o laurearci. Abbiamo fatto queste richieste all’università per tutta la pandemia, abbiamo portato le lamentele degli studenti sotto il rettorato, cercando di entrare in contatto con l’amministrazione. Non ci accontentiamo del silenzio, ma lotteremo per un vero diritto allo studio, fuori dalle logiche dell’interesse privato e del profitto!”.

Restando a tema di Alma Mater, sono dei giorni scorsi alcune prese di posizione di Usb Università di Bologna sull’organizzazione del lavoro durante l’emergenza: “La nostra Amministrazione ha adottato una forma ibrida, a metà fra smartworking e telelavoro, denominato LAE, cioè Lavoro Agile Emergenziale, una modalità che prevede che il lavoratore non goda della flessibilità di spostamento fra casa ed ufficio tipica dello smart working e che in più utilizzi le sue strumentazioni e la sua casa come se fosse un ufficio”.

Prosegue il sindacato: “L’Amministrazione fino al recente accordo, ha negato il buono pasto ai lavoratori in LAE, sostenendo che lavorando da casa non se ne ha diritto, peccato che in altri atenei ed in altri enti della PA continuino ad essere riconosciuti; di recente anche l’INPS ha deciso di erogarli retroattivamente. Su tutti questi punti, come il diritto alla disconnessione, ci siamo espressi più volte negli incontri sindacali con l’Amministrazione, ribadendo come la situazione emergenziale non debba ledere oltremodo i diritti del personale TA dell’Ateneo, che già sta mostrando di sopperire con grande spirito di abnegazione ai carichi di lavoro ancor più pesanti nella fase di emergenza, per via dei vincoli dettati dal lavoro da casa. Durante il suo mandato, il Magnifico Rettore si è rivolto al personale augurandosi che l’Ateneo diventasse come una casa per chi ci lavora. Adesso invece, sembra piuttosto che l’Amministrazione voglia fare delle nostre case i suoi uffici!”.

Spiega poi Usb che lo scorso 12 giugno “l’Amministrazione ha informato le parti sindacali che considera ormai superata la fase emergenziale e che intende avviare lo smart working propriamente detto, confortata dai risultati del questionario somministrato al personale in aprile. Pertanto partirà a settembre una sperimentazione che coinvolgerà 4 strutture: APOS, DIRI, DISTAL e DSG su obiettivi da raggiungere in smart working da parte del lavoratore ed un sistema di monitoraggio conseguente. A detta della dirigente APOS, occorre accelerare i tempi, per aggiornare il sistema della valutazione della performance, in modo da partire con lo smart working nel 2021. Ricordiamo anche che l’Amministrazione sta progressivamente adottando un sistema di valutazione per legare la valutazione individuale all’erogazione di fondi del salario accessorio. Questi scenari ci inducono forti preoccupazioni, la cottimizzazione è la fine del lavoro, la fine del contratto del pubblico impiego, almeno così come disegnato dalla nostra Costituzione, che vede il dipendente pubblico come garante delle procedure della PA sulla base dei principi di buon andamento ed imparzialità, anziché schiavo dei virus della flessibilità e della performance produttiva. Siamo convinti che la famosa Fase 2 non rappresenti la fine della pandemia e per questo chiediamo con forza che la riapertura dei servizi e delle strutture venga fatta con grande responsabilità, senza generalizzazione o superficialità. Riteniamo che il lavoro agile abbia offerto la possibilità di garantire la sicurezza dei lavoratori e della comunità accademica e che possa essere una soluzione al fine di conciliare il lavoro con la vita personale e/o esigenze familiari, se scelto volontariamente. Ne vediamo, invece, le molte criticità se calato dall’alto, senza tutele per il lavoratore, se connesso ad obiettivi stabiliti dirigisticamente e discrezionalmente, senza la partecipazione attiva dei lavoratori, senza rigide garanzie in tema di disconnessione, valutazione individuale, possibilità di carriera e formazione”.

Sempre Usb Università informa inoltre di non aver firmato il contratto integrativo 2020. Si legge nel comunicato: “Quando le parti sindacali rinunciano al proprio ruolo, invece di perseguire obbiettivi collettivi o rivendicare istituti contrattuali per tutti i lavoratori e si limitano a farsi procacciatori di prebende o indennità per pochi sodali, i lavoratori perdono sempre. Certo, è più facile far avere una progressione a Tizio o una posizione organizzativa a Caio e si troverà sempre una convergenza con l’Amministrazione, ben propensa a trattare casi singoli piuttosto che questioni collettive, magari questa strategia frutterà anche qualche iscrizione in più, ma questo modo di fare sindacato non ci appartiene e non ci piace per nulla. La trattativa 2020 si è ridotta a questo, uno scenario surreale ed avvilente dove la maggior parte dei dirigenti sindacali dibatteva su quale gruppetto di lavoratori, in base alle proprie priorità o affiliazioni, far andare una manciata di euro e nulla più. Si è ottenuto il riconoscimento del buono pasto anche per il personale in LAE, ma come abbiamo sempre sostenuto, dato che il LAE non è telelavoro, né smart working, né lavoro agile, ma un ibrido, creato ad hoc dalla nostra Amministrazione, a maggior ragione questa aveva la facoltà di riconoscere il buono pasto ai lavoratori, bastava avere la volontà politica, altri atenei, come il Politecnico di Torino e la Statale di Milano lo avevano già fatto”.