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Ateneo, protestano gli studenti: “Basta test d’ingresso”

Noi Restiamo: “L’università e la ricerca devono essere al servizio dell’interesse collettivo”. Fgc: “Eliminare questa selezione di classe e salvare il sistema sanitario nazionale”. Intanto, Cua su ripartenza con lezioni a turni e su prenotazione: “Allora abbassino le tasse!”.

03 Settembre 2020 - 17:56

Questa mattina due collettivi studenteschi hanno manifestato in Fiera, all’esterno del padiglione dove si tenevano le prove per accedere al corso di laurea in Medicina dell’Alma Mater. “L’università non è un percorso a ostacoli e non deve essere tale  – scrive Noi Restiamo – Quello che viviamo è un sistema universitario sempre più escludente, lo vediamo dai numeri chiusi in aumento in un paese agli ultimi posti per laureati in Europa. Durante l’emergenza sanitaria e sociale che abbiamo attraversato questo sistema ha mostrato tutto il suo fallimento, soprattutto nell’ambito sanitario. Ma neanche questo è stato sufficiente a far capire che non devono esserci sbarramenti nei percorsi formativi, e che questi non devono essere gestiti dai privati o in loro favore. L’accesso programmato genera unicamente profitto sulla pelle degli studenti e delle loro famiglie. Basta test d’ingresso, l’università e la ricerca devono essere al servizio dell’interesse collettivo”.

Così invece il Fronte della Gioventù Comunista: “La pandemia di Covid-19 ha mostrato le conseguenze disastrose dei tagli e della privatizzazione nella sanità. Durante l’emergenza la mancanza di personale ha costretto i medici a sforzi incredibili in reparti al collasso. Nonostante questo la selezione con i test di ingresso per medicina e professioni sanitarie non viene messa in discussione: quest’anno 66.000 candidati competeranno per poco più di 13.000 posti, e tantissimi altri tenteranno quello per professioni sanitarie il prossimo 8 settembre. Il governo crede davvero che aggiungendo 5.000 posti solo per quest’anno, si risolverà il problema di un SSN al collasso? I lavoratori della sanità in questi mesi hanno sostenuto il peso di anni di tagli e le carenze di organico moltiplicando i turni e la fatica. Prima tutti li hanno chiamati eroi, ma oggi il sistema del numero chiuso resta in piedi. Non si tratta di cento o mille posti in più, ma di eliminare questa selezione di classe e salvare davvero il SSN. Da tempo si denuncia la mancanza di almeno 50.000 infermieri e di decine di migliaia di medici, tagli sistematici al SSN e sostegno alle cliniche private che lucrano sulla salute e di fronte al virus hanno fatto finta di niente. Proprio il numero chiuso per la facoltà di medicina è una di quelle misure che hanno distrutto la sanità pubblica, tagliando il numero di lavoratori in corsia per favorire la speculazione sulla salute della popolazione intera. Il disastro di questi mesi ci ha dimostrato che serve una sanità davvero pubblica, gratuita e accessibile a tutti”.

Riprende le attività, intanto, il Collettivo Universitario Autonomo: “Ci troviamo ormai alle porte di un altro anno accademico e quello che ci si pone davanti è, nuovamente, un periodo di incertezze: come sarà l’università del post covid? Quali saranno i cambiamenti della città in cui viviamo? Quali spazi potremo attraversare come studenti e studentesse ora che le normative per tutelare la nostra salute stanno cambiando il volto di città ed università? È proprio in questi giorni che alcune aule studio del nostro ateneo sono state riaperte, dopo oltre sei mesi di quasi totale inattività immersa nel completo silenzio da parte delle istituzioni universitarie, che solo in questi giorni perdono parola riguardo alle modalità con cui l’università intende prendere forma. Già alla fine dello scorso anno accademico ci siamo scontrat_ con la desolazione di una zona universitaria abbandonata a sé stessa e militarizzata: dopo un mese di presidio permanente davanti al rettorato, da parte di studenti e studentesse che avevano bisogno di risposte concrete per affrontare una situazione di emergenza, disagio e profonda sofferenza, l’unica pallida risposta arrivata da Unibo è stata la riapertura di tre aule studio – puramente simbolica poiché giunta a fine sessione e senza una reale attenzione alle precauzioni sanitarie necessarie. Fin dal primo momento la comunità studentesca di Bologna si è dimostrata decisa sia nell’individuare quelle che erano (e sono ancora) le sue reali necessità che nel manifestarle a gran voce all’università – rimasta però sorda ad ogni richiesta. In un periodo di totale incertezza, che ha gravato in modo particolare sulle spalle di studenti e studentesse precari e precarie che abitano questa città, l’amministrazione non si è mai degnata non solo di dare risposte concrete ma nemmeno di aprirsi alla possibilità di un dialogo con tutt_ coloro che l’università la vivono – e la alimentano economicamente pagando tasse esorbitanti. Anche se lo scorso anno noi student_ non siamo stat_ ascoltat_ né minimamente agevolat_, non dimentichiamo quello che abbiamo dovuto passare né pensiamo che con questo nuovo anno quelle contraddizioni che avevamo individuato qualche mese fa siano risolte o possano essere risolte senza che siamo noi protagonist_ della soluzione stessa. Per quanto solo ad oggi abbiamo qualche notizia su come l’università vorrebbe ristrutturarsi, è innegabile che le modalità con le quali è stata impostata la DAD durante la quarantena abbiano delineato una grossa difficoltà nella possibilità di tutti e tutte di partecipare alle lezioni e di sostenere gli esami. Come abbiamo ribadito molte volte negli ultimi mesi, l’università non ha accennato a ridurre le tasse intanto che forniva ben pochi servizi a noi studenti e studentesse: nel contesto pandemico tra l’altro, questi scarsi servizi sono stati inaccessibili o in ogni caso quasi totalmente a carico nostro e dei docenti”.

Prosegue il Cua: “Oggi è arrivata una prima presa di parola da parte dell’Unibo in merito a come verrà impostata nei prossimi mesi una didattica mista (online e in presenza): sarà quindi possibile frequentare l’università sia da lontano che in presenza, ma in quest’ultimo caso dato il numero limitato di posti sarà necessaria una prenotazione tramite app per avere accesso alle lezioni. Ci chiediamo, alla luce di queste dichiarazioni del prorettore vicario Mirko Degli Esposti, come si configurerà e in che modo peserà sugli studenti questa ipotetica turnazione per la frequentazione delle lezioni. In questa situazione non si delinea solo una distinzione tra chi sceglie la didattica a distanza (magari senza trasferirsi) e chi sceglie la didattica in presenza, ma anche una gara al posto tra coloro che si sobbarcano le non poche spese necessarie a sostentarsi in una città come Bologna ma che potrebbero non avere la garanzia di poter partecipare alle lezioni negli spazi dell’università. Siamo quindi di fronte alla possibilità di un radicale cambiamento del mondo della formazione in una università sempre più dematerializzata, ipotesi che noi non osteggiamo a priori ma che pensiamo debba essere accompagnata da un altrettanto radicale abbattimento delle tasse. Se si riconfermasse la tendenza ad investire in una didattica fondata sull’utilizzo di piattaforme online non saremmo disposti a continuare a pagare per tutti quei servizi in presenza che già prima della pandemia erano carenti e che evidentemente l’università sta scegliendo di offrire sempre meno: sia chi sceglierà di continuare a frequentare a distanza sia chi sceglierà di farlo in presenza dovrà avere accesso ai tutti quei servizi infrastrutturali, teoricamente garantiti di cui ogni studente ha bisogno senza doversi sobbarcare di tasse universitarie esorbitanti”.

“Non basterà – si legge in conclusione – la riapertura di qualche aula studio per restituirci il nostro tempo e i nostri soldi! Il tema della salute, divenuto imprescindibile nel guardare al presente in un periodo di pandemia globale, non può più essere utilizzato come facile pretesto per privarci dei servizi che ci spettano, ma deve costituire un fondamentale orizzonte di pensiero e quindi campo di battaglia. Non siamo disposti ad accettare che un’università piena di risorse economiche come l’Unibo invece che investire i propri fondi per rendere possibile l’attraversamento dei suoi spazi a tutti e tutte nella massima tutela collettiva, decida di sfruttare questa situazione emergenziale per essere giustificata a non erogare alcun servizio. Università per noi non può essere un mero esamificio da percorrere passivamente ma deve costituire un luogo di incontro, confronto e scambio che possa essere vissuto in tutte le sue sfaccettature. In un periodo come questo diventa per noi ancora più importante riuscire a riappropriarci dei nostri tempi e spazi non scendendo a compromessi con il presente ma pretendendo con ancora più voce quello che ci spetta. Non ci accontentiamo delle briciole!”.